20 luglio 2011

La catastrofe di Stava

Riassunto dell´articolo originale pubblicato su Scientific American
"July 19, 1985: The Val di Stava dam collapse"

Le dighe dei bacini della miniera di Prestavel crollarono il 19 luglio alle 12:22:55. La colata di fango risultante distrusse il paese di Stava e il fondovalle della valle di Stava - perirono 268 persone , 62 edifici furono distrutti e 8 ponti demoliti.

Fig.1. La distruzione nella valle (immagine tratta da Wikipedia).

I due bacino erano stati utilizzati per accumulare e essiccare le scorie e il fango risultante dall´estrazione di fluorite dalla montagna di Prestavel. Il primo bacino di decantazione era stato costruito dal 1961 al 1969, nell´ultimo anno fu deciso di costruire un secondo bacino al di sopra del primo. Le dighe dei bacini sono state costruite semplicemente separando materiale grossolano da acqua e fango, e utilizzando la sabbia, ciottoli e rocce come materiale per rinforzare lo stesso bacino, una modalità di costruzione economica, ma adeguata solo per bacini di piccole dimensioni.

Fig.2. I due bacini, da una fotografia contemporanea (tratto da ANNOVI).

Nel 1974 l'amministrazione del comune di Tesero richiede un controllo di sicurezza e stabilità per i due bacini, il controllo (oggi considerato incompleto) viene condotto nel 1975 e conclude che il gradiente di inclinazione delle dighe è "straordinario" e la stabilità della costruzione "ai limiti". Tuttavia la compagnia mineraria fornisce alle autorità una relazione positiva per la sicurezza, e la diga negli anni successivi viene incrementata in altezza, con l'unico compromesso che l'inclinazione è stata ridotta a un massimo valore di 4°.
Tra il 1978 e il 1982 i due bacini non sono in uso, nel 1982 fino al 1985 vengono riutilizzati per le scorie della miniera. In tutti questi anni le dighe e bacini non vengono controllati, non dalla società mineraria, né dalla pubblica amministrazione responsabile per le attività estrattive della Provincia di Trento.

La diga superiore crolla per prima, impattando sul bacino inferiore causando il crollo anche di questo bacino.

Fig.3. I resti delle due vasche dopo il crollo (figura da LUCCHI 1995).

Circa 180.000 metri cubi (dal volume totale dei due bacini di 300.000) di fango, sabbia e acqua vengono rilasciati nella valle di Stava e verso il paese di Stava con una velocità di 90 km/h. L´ondata della colata erode 40.000 a 50.000 metri cubi di terreno e li incorpora nel flusso. La colata di fango raggiunge il villaggio in 50 secondi, schiantandosi contro gli edifici, poi continua per tre minuti fino a raggiungere il fiume Avisio a 4 chilometri di distanza, distruggendo ogni cosa sul suo cammino.

Fig.4. Immagina aerea della Valle Stava prima e dopo il disastro (tratto da W.I.S.E.).

L'inchiesta sul disastro conferma che le dighe e bacini erano scarsamente controllati e il margine di sicurezza era troppo piccolo. Come ultima causa del crollo della diga superiore è considerata una perdita d'acqua da un tubo nel bacino, usato per drenare l´acqua e piegato dal peso dei sedimenti accumulati nel bacino si rompe. La pressione dell'acqua crescente nella diga, in combinazione con la saturazione d'acqua dei sedimenti, ha causato infine probabilmente la catastrofe.

Bibliografia:

LUCCHI, G. (1995): Stava perchè. Editore Cuca & Genovese. Trento

Risorse online:

ANNOVI, A.(/): La frana di Stava. Visitato 18.07.2010
World Information Service on Energy (13.05.2009): The Stava tailings dam failure (Trento, Italy). Visitato 18.07.2010

18 luglio 2011

La storia e geologia del primo dinosauro italiano: Scipionyx samniticus

"In geologia non possiamo dispensarci dal fare delle congetture: giacche dunque siamo condannati a sognare , procuriamo che i nostri sogni siano come quelli degli uomini sani, che abbiano, cioè, un aspetto di verisimiglianza, e non siano come quelli delle persone malate, nei quali si fanno strane combinazioni di fantasmi inverisimili e contrari alla natura."
"Introducione alla Geologia" (1811) del filosofo naturale Scipione Breislak

Il calcare di colore grigio-giallo a grana finissima che si puó trovare nei pressi del villaggio di Pietraroja (Provincia di Benevento/Campania) era in passato una roccia ampiamente utilizzata nell´edilizia, ma questo antico sedimento forniva anche altri tesori - fossili in un stato di preservazione straordinario. Il medico e naturalista Nicolo 'Braucci da Caivano (1719-1774) cita brevemente i fossili nella sua opera "Historia Naturale della Campania Sotterranea" (1770):

"...quivi dentro le valli lacerate, erose dai torrenti delle acque piovane, si scoprono sassi con l'impronta di molti generi di pesci, e specialmente di sarde."

Tuttavia il primo naturalista a descrivere piú in dettaglio i pesci fossili presenti sulla superficie degli singoli strati è stato il filosofo, teologo e fisico Scipione Breislak (1750-1826) nel suo libro sulla geologia della Campania con il titolo "Topografia fisica della Campania" (1798) in cui scrive:

"Sopra Cerreto sorge l'alta montagna di Pietra Roja che è una delle cornate del Matese, molto interessante per i prodotti che presenta. Questa montagna in alcune parti è composta da pietra calcarea scissile con impressioni di pesci. La durezza però dello schisto e la molteplicità delle venature spatole che s'intersecano in molte direzioni, fan sì, che con difficoltà se ne possano avere de' belli esemplari, né sono giammai di quella precisione e bellezza che si osserva ne' pesci fossili di Bolca."

Negli anni 1853 al 1864 il geologo Oronzo Gabriele Costa (1789-1867) pubblica i vari volumi della sua "Paleontologia del Regno di Napoli", dove sono raffigurati i magnifici pesci fossili del "calcare ad ittioliti di Pietraroja", nome che viene poi adottato anche per designare la formazione geologica di Pietraroja.


Fig.2. Impressione lasciato dallo scheletro articolato di un pesce fossile trovato nel calcare di Pietraroja.

La formazione di Pietraroja è costituita da una successione di spessi strati di calcare e dolomia con singoli strati di marna verdastra che verso la parte superiore cambia in un calcare bituminoso e dolomia con noduli di selce - proprió in questi strati si trovano anche i fossili.

Fig.3. Una vecchia cava con affioramenti della parte superiore della formazione di Pietraroja - in cui si trovano i fossili.

I fossili che si trovano in questa formazione comprendono ammoniti, crostacei, una ricca varietá di pesci, coccodrilli, tre specie di (presunte) lucertole, una specie di anfibio e una singola specie di grosso vertebrato.
Infatti Pietraroja divenne nota in tutto il mondo nel 1998, quando uno scheletro quasi completo di un piccolo dinosauro è stato descritto dai paleontologi italiani Cristiano Dal Sasso e Marco Signore in un articolo sulla prestigiosa rivista "Nature" - la specie nuova alla scienza verrá chiamata Scipionyx samniticus, una dedica a Scipione Breislak, che per primo descrisse la località, e l´antico nome latino per la regione del Sud Italia del Sannio, che comprendeva la moderna Campania.
Il fossile, ritrovato 20 anni prima sotto condizioni non completamente chiarite, descritto è straordinario: uno scheletro quasi completo e articolato di un piccolo (23cm di lunghezza) dinosauro bipede, mancano solo alcune parti della coda e alcune ossa delle zampe posteriori, anche nelle cavità del corpo ci sono strutture interpretate come impronte degli organi - Scipionyx é tuttora uno dei dinosauri meglio conservato. Ciro, come il fossile fu chiamato dalla stampa generale, era così fotogenico che riusci perfino a conquistare la copertina della rivista Natura.


Scipionyx e il calcare di Pietraroja non sono solo un importante scoperta paleontologica, ma anche utile per il geologo. La tafonomia di Scipionyx e altri vertebrati scoperti aiuta a ricostruire l'ambiente in cui vivevano e ha implicazioni importanti per la ricostruzione paleogeografia della penisola italiana e il mare di Tetide nel Cretacico.
La presenza di grandi animali dimostra la disponibilità di acqua dolce, dimostra inoltre la presenza di isole o di grandi aree di terra ferma, coperto da vegetazione - é interessante notare che nel record geologico non vi sono prove cosi dirette e fino a qualche decennio fa l'oceano della Tetide era stato ricostruito come un grande mare monotono e poco profondo.
La ricostruzione moderna dell'ambiente di Scipionyx comprende un arcipelago di isole sparse nell'oceano della Tetide, isole abbastanza grandi da sostenere populazioni di specie endemiche di dinosauri.

La ricerca su Scipionyx samniticus non si ferma su questi punti ma é continuata negli ultimi anni - grazie alla preservazione e nuove tecnologie é stato possibile descrivere in una monografia (presentata poche settimane fa) il fossile - aggiornare la sua sistematica, ricostruire l´anatomia e perfino l´etologia - di questo piccolo, primo dinosauro italiano.


Bibliografia:

BARBERA, C. ; SIGNORE, M. & LA MAGNA, G (1999): International meeting on Scipionyx samniticus dinosaur, Telese Terme, 25-27, 1999 - Guida all'escursione e abstracts.
CARANNANTE, G.; SIGNORE, M. & VIGORITO, M. (2006): Vertebrate-rich Plattenkalk of Pietraroia (Lower Cretaceous, Southern Apennines, Italy): a new model. Facies 52: 555-577
DAL SASSO, C. & SIGNORE, M. (1998): Exceptional soft-tissue preservation in a theropod dinosaur from Italy. Nature 392 (26, March 1998): 383-387

DAL SASSO, C. & BRILLANTE, G. (2001): Dinosauri italiani. Marsilio Editore, Venezia: 256

DALLA VECCHIA, F.M. (2003): Dinosaurs of Italy. C.R. Palevol 2: 45 - 66

SIGNORE, M. (2004): Sample excavations in Pietraroja (lower Cretaceous, Southern Italy) in 2001 and notes on the Pietraroja palaeoenvironment. PalArch vertebrate palaeontology Vol.2 (2): 13-22