29 novembre 2014

Il Vello d'Oro - tra Geologia e Mitologia

La ricerca degli argonauti del vello d'oro nell' antico regno di Colchide (collocato sulle coste orientali del Mare Nero) è un avventura leggendaria, ma forse si basa su alcuni osservazioni reali. Infatti Omero riporta la spedizione alla ricerca della pelle d' oro di un montone come storia reale nella sua “Odissea” (redatta nel VIII-VII secolo a.Chr.) e il poeta Apollo di Rodo nel III secolo avanti cristo dedica il suo poema "Argonautica" ai prodi avventurieri e offre una dettagliata descrizione del regno di Colchide, abitato dalle tribù dei Calibi, Tibareni e Mossineci (culture reali). 

Per spiegare la figura mitologica del vello d’ oro varie ipotesi sono state proposte nel tempo – tra cui un simbolo o stemma reale, oppure la memoria di una sconosciuta razza di pecora (con manto giallo), ma l' ipotesi più accreditata è che si tratta di una iconografia ispirata da una antica tecnica di estrazione dell’ oro con l' aiuto di pelli d’ animale.


Fig.1. Figurina in bronzo di un “montone-uccello”, scoperto in scavi archeologici nei pressi del villaggio di Khalde, Caucaso. Questo ibride forse si basa sa una iconografia ancora più antica, una pelle di montone (con testa e corna) usata per l’ estrazione dell’ oro (immagine da OKROSTSVARIDZE et al. 2014).


Tuttora delle pelli d’ animale vengono usate per l’ estrazione d’ oro nelle montagne del Caucaso. L' erosione nelle montagne del Caucaso è molto forte, dato che si tratta di una zona tettonicamente ancora molto attiva. I fiumi trasportano perciò grandi quantità di sedimento aurifero, per estrarre l’ oro l’ acqua viene versata su una pelle d’ animale e le piccole, ma pesanti, pepite d’oro si impigliano nella lana, mentre i ciottoli e la sabbia, materiale leggermente più leggero, vengono lavate fuori

Una tecnica che data indietro nel tempo, cosi scrive lo storico Strabo (44 a.Chr. - 23 d.Chr.) 

"Nei fiumi montani di questa regione ci sono grandi quantità d' oro, raccolto dai barbari tramite contenitori perforati e pelle di pecora". 

Anche se il vello d’ oro in un certo senso è reale, non è chiaro se davvero fu mai organizzata una spedizione greca per recuperare l’ oro o la tecnica d’ estrazione usato nel Caucaso. Dal tempo in cui viene collocato il leggendario viaggio – circa XI secolo a.Chr. – non esistono reperti archeologi che testimoniano una estrazione industriale del metallo prezioso che avrebbe potuto fare gola alle culture del mediterraneo. Nientedimeno racconti o descrizioni delle tecniche usate nel Caucaso a livello locale avrebbero potuto raggiungere anche l' antica Grecia e essere tramandate poi in tempi classici tramite racconti mitologici.


Bibliografia:


OKROSTSVARIDZE, A.; GAGNIDZE, N. & AKIMIDZE, K. (2014): A modern field investigation of the mythical “gold sands”of the ancient Colchis Kingdom and “Golden Fleece” phenomena. Quaternary International, In Press: 9

16 novembre 2014

Vivere tra le rocce - il camoscio alpino

Fin dall´antichità le zone alpine furono semplicemente identificate come le montagne di ghiaccio.
Le vette innevate, i desolati ghiaioni e le parete di roccia nuda d´alta montagna - erano ambiente contrapposto ai fiumi, laghi e fertili vallate alpine. Mentre gli ultimi facevano parte del regno umano, le zone d´alta quota erano terra di nessuno, o al massimo regno di animali reali e spiriti sovrannaturali. Un essere, che in certi casi era una via di mezzo tra questi due regni, era il camoscio alpino.


Il camoscio é un ungulato con aspetto tozzo e compatto, con mantello brunastro d´estate e scuro-nero d´inverno - caratteristico sono i disegni del muso con le redine nere (le fasce facciali) - tipico dell´ambiente montano. I camosci si trovano spesso al di sopra del limite del bosco, in ambienti ripidi e ricchi di rocce o con pareti rocciosi, che in caso di pericolo fungono da sicuro rifugio. Gli zoccoli robusti, larghi e divaricabili, con bordi duri e pianta di consistenza gommosa, facilitano l´arrampicata. Una plica cutanea tra le due dita aumenta la superficie d´appoggio e agevola lo spostamento su neve e ghiaccio d´inverno.
 
Il nome camoscio deriva probabilmente dal greco "kemas", che indicherebbe una capra selvatica (anche se non é chiaro se si riferiva all'odierno camoscio), termine che deriva a sua volta dal sanscritto "kamp", che significa saltellare, balzare. Il termine si evolve poi da camutium a camoccia nel medioevo a chamossius a chamosslus negli ultimi secoli al moderno camoscio. Il nome del genere Rupicapra - letteralmente capra delle rocce - fu ripreso da Carlo Linneo nel 1758 e il genere descritto scientificamente dallo zoologo francese Henri-Marie Ducrotay de Blainville nel 1816, anche se stranamente il camoscio fu considerato una peculiare specie di antilope europea invece che un animale imparentato con le capre vere e proprie.
 
Nella mitologia delle Alpi il camoscio gioca un ruolo come accompagnatore delle Saligen - le donne spirito, custode delle ricchezze e delle forze della natura alpina. Erano animali, in particolare individui bianchi, sacri alle Saligen e il cacciatore sprovveduto avrebbe pagato a caro prezzo il sacrilegio di abbatterne uno.


Comunque il camoscio era una preda troppo ambita e ricercata, dato che la caccia era difficile, per via dell´abitudine dell´animale di rifugiarsi in pareti rocciose, ma poteva essere molto redditizia. Il sangue del camoscio appena ucciso, cosi il grande naturalista Svizzero Conrad Gesner (1516-1565) "veniva consumato da alcuni cacciatori come fresco sgorga dalla ferita, come peculiare medicina contro ogni forma di vertigine." La bile era considerata medicina contro ogni problema della vista, anzi, era cosi efficace che rendeva possibile la visione notturna. Il trofeo più ambito era di gran lungo la roccia bezoar. Nello stomaco di questo ruminante i resti vegetali non digeriti, insieme a capelli, resina e sali, possono formare una palla dura. Al bezoar, recuperato dallo stomaco del camoscio, veniva attribuito un potere magico e curativo contro ogni male delle viscere. 


Fig. 2.& 3. Il camoscio e rocce bezoar, tratti da Lebenwaldt, A. von (1730): Damographia: oder Gemsen Beschreibung.

Si narra che il camoscio in fuga usava le sue corna ricurve per arrampicarsi sulle pareti più ripide e se non c'era più possibilità di fuga, preferiva la morte, buttandosi nel dirupo… (la scienza moderna sembra non confermare questa abitudine).

 


Bibliografia:

TRAAß, V. & LIECKFELD, C.-P. (2005): Mythos Berg - Götter, Gipfel und Geschichten. BLV-Verlag: 208