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18 agosto 2018

Geologia e il crollo del ponte a Genova

Il martedì verso le 11:30 a Genova un tratto lungo circa 100 metri del viadotto Polcevera, sui cui la A10 passa il torrente Polcevera, é crollato all´improvviso mentre sulla città infuriava un forte temporale. I morti accertati a questo punto sono 41, 16 sopravvissuti di cui 9 feriti gravi, alcune persone risultano ancora disperse.
 Grafica tratta dal Corriere della Sera, 15 agosto 2018.

Il viadotto Polcevera, conosciuto anche come ponte Morandi dal nome dell'ingegnere Riccardo Morandi, è stato pianificato e costruito tra il 1963 e 1967. La causa del crollo sono ancora sconosciute, anche se in questi giorni sono state formulate diversi possibili scenari. Nelle prime ore, con la situazione sul luogo ancora poco chiara, alcuni media hanno parlato di un possibile smottamento sotto uno dei piloni causato dalle forti precipitazioni. Un video pubblicato online sembra mostrare che la carreggiata è la prima a cedere, con il pilone che segue solo dopo. 



Anche foto pubblicate dai soccorritori sul luogo mostrano che la base del pilone crollato è rimasta intatta.
Un altro scenario proposto sui social networks parlava di movimenti di subsidenza del terreno sotto il ponte, che con passare del tempo hanno destabilizzato le fondazioni dei piloni. Secondo la carta geologica di Genova tutte le fondazioni dei piloni del viadotto si trovano in sedimenti alluvionali, composti da ghiaia e sabbia, depositati li dal torrente Polcevera. Generalizzando, terreno di questo tipo può essere un problema per costruzioni. Un torrente deposita lenti di ghiaia e sabbia, che vengono compattate in modo diverso sotto pressione. Un esempio famoso di questo fenomeno e la torre pendente di Pisa. Inoltre, in un sedimento non consolidato di questo tipo una falda variabile può causare fenomeni di erosioni nel sottosuolo, che in superficie possono causare movimenti irregolari del terreno. Al momento non sono disponibili informazioni da fare pensare che cedimento o movimenti del sottosuolo siano la causa in questo caso.
Carta geologica, in blu i depositi ghiaiosi e sabbiosi del torrente Polcevera.
Lavori di manutenzione nel torrente Polcevera, foto del 2016.

La geologia in questo caso gioca probabilmente un ruolo secondario, determinando la posizione del viadotto. La A10 segue il spazio limitato che si trova tra il Mare Ligure e le Alpi, il che rende necessario fare passare molte tratte dell'autostrada in gallerie o su ponti. 

Il scenario favorito (ma anche preliminare dato che al momento non è ancora possibile accedere al ponte crollato) dagli esperti interpellati è cedimento strutturale dei cavi portanti per cause sconosciute (corrosione?).

26 agosto 2017

Dopo l´incubo del terremoto arriva l´incubo della burocrazia italiana

Il lunedi sera l´isola di Ischia è stata colpita da un terremoto di magnitudo 3.6 e con ipocentro stimato a meno di 5 chilometri di profondità.



I danni sono stati relativamente ingenti, con due persone morte sotto le macerie. La seguente infografica mostra le zone più colpite.


L´isola ischia è di antica origine vulcanica e attraversata da varie faglie, che tagliano l´isola in diversi blocchi. Il terremoto, prima localizzato a profondità maggiore e in alto mare, probabilmente è stato generato su una di queste faglie, a profondità minore di quella stimata all´inizio. Dati RADAR mostrano un movimento locale del suolo sull´isola fino a 4 centimetri e sembra che il terremoto ha fatto franare parte dell´isola, il che potrebbe spiegare i danni osservati, molto localizzati e pronunciati, considerando anche la bassa magnitudo. L’accelerazione al suolo è stata di appena 0,2G, ma i danni sono stati del VIII-IX grado secondo la scala Mercalli.

 
Velocemente si è arrivati  alla conclusione, che i crolli dei palazzi sia anche avvenuto per via della costruzione non idonea alla natura sismica del terreno. Questa affermazione é stata quasi subito smentita dal sindaci dell´isola, ma purtroppo, non sarebbe la prima volta. 



I politici italiani sono veloci a sfruttare un disastro, ma non altrettanto efficaci sia nella prevenzione, sia nella ricostruzione dopo una crisi. Molti abusi in Italia sono stati anche “perdonati” con decreti supplementari, sopratutto durante l´era Berlusconi.

Nessuno dimenticato, aveva promesso Matteo Renzi dopo il terremoto che colpi il centro Italia un anno fa. Sta di fatto, che delle 3.800 abitazioni d´emergenza promesse, solo 500 sono state realizzate, e di queste solo la meta viene usata attualmente. Amatrice è ancora invasa dai detriti, grazie alla consueta burocrazia italiana. Si inizia dalle cose semplici, come il problema che non si sa dove scaricare il materiale, che viene considerato rifiuto speciale. Si prosegue con delle tattiche più elaborate. I formulari per l´appalto e la ricostruzione sono talmente complicati, nella speranza di arginare la malavita, che quasi nessuna offerta è stata inoltrata. Non manca neppure il completo delirio burocratico. Un container sul posto, che doveva fungere da negozio per alimentari, non può essere usato dato che non c´é possibilità di rilasciare scontrino e si sa, pagare le tasse è dovere sacro in Italia.
 

L'Aquila è stata colpita nel 2009 da un terremoto, quasi 70.000 i sfollati. Famose le immagini di Silvio Belusconi, a suo tempo al potere, con altri importanti capi di stato in visita tra le macerie. La new town di Berlusconi, che comprende 200 case costruita appena in 4 anni, sta lentamente cadendo a pezzi, a meno di dieci anni dopo la realizzazione. Intanto, nel centro storico di Amatrice solo il 20% degli edifici sono abitabili.

È vero che la gestione immediata di una catastrofe in Italia è spesso sorprendentemente efficace, ma altrettanto importante è gestire la ricostruzione, che può durare anche anni. Inoltre, il rischio sismico in Italia é conosciuto. Ora serve solo il volere del popolo, a reagire, a prevenire, a costruire in modo antisismico e a chiedere ai politici di svolgere i loro doveri.

17 ottobre 2016

La vita vegetale in una grotta

Fig.1. L´entrata delal caverna degli orsi, nel gruppo delle Conturines (Dolomiti), a quota 2.700m - solo muschi e licheni resistono sotto le rigide condizioni di montagna.

Le grotte costituiscono un ambiente molto particolare per una pianta. Forme di vita basate sulla fotosintesi e luce solare, é praticamente impossibile per loro colonizzare ambienti che per natura sono prive di luce. Una grotta offre pochi diversi habitat e manca perlopiù il substrato necessario a mantenere una pianta. Ma questo non vuole dire che non si possano trovare piante nei primi metri di una caverna. Entrando in una grotta l´intensità luminosa gradualmente si attenua. L´umidità può raggiungere i 100%, anche se possono mancare corpi d´acqua. Nei ambienti ipogei  predominano perciò piante troglofile che tollerano l´ombra, temperature fresche e necessitano di molta umidità (simile a ambienti dei boschi montani o regioni freddi). Gruppi con i preadattamenti necessari includono briofite (muschi ed epatiche), pteridofite (felci) e fanerogame. Licheni, funghi, batteri ed alghe sono in grado di sopravvivere anche nella completa oscurità della grotta.
Vengono distinte quattro zone in cui si può trovare vegetazione, perlopiù delimitate dall´intensità della luce solare:
- zona liminare o zona delle spermatofite, all´ingresso della grotta. Zona di transizione con copertura vegetale ancora sviluppata, dominano ancora le fanerogame dato che trovano ancora abbastanza luce per la loro crescita.
- zona subliminare o zona delle pteridofite, l´intensità luminosa si riduce e dominano le felci e briofite
- zona suboscura, luminosità bassa ma umidità molto alta, presenza esclusiva di briofite ed alghe che vengono rapidamente rimpiazzate da funghi e alghe verdi e alghe azzurre (cianobatteri) verso la finale zona oscura, caratterizzata dalla completa oscurità, dove riescono a sopravvivere soltanto funghi in presenza di sostanza organica in decomposizione.

Bibliografia:
 
CASTELLO, M.; RUSTICI, A. & TENTOR, M. (2011): La vita all´interno delle grotte: Note sui vegetali nella grotta dell´acqua. Natura Nascota, Nr. 42: 9-22

6 agosto 2016

L´Oro delle Alpi

Il Ticino, il Sesia, la Dora Riparia, l´Elvo e gli altri grandi fiumi che scendono dalle Alpi occidentali sono ricchi in oro alluvionale. L´oro si trova primariamente nelle vene di quarzo delle montagne. Nel tempo l´erosione libera I grani d´oro e i fiumi li trasportano verso la pianura.

 
 Oro nativo in vena di quarzo, Monte Rosa.

Il documento più antico che menziona la ricerca di questo prezioso metallo nei fiumi che scendono dalle Alpi risale all´anno Mille, ma già prima I fiumi venivano sfruttati, sopratutto nella zona del Lago Maggiore. Nel testo “Honorantie Civitatis papie” (1010-20) viene regolamentata la ricerca dell´oro, i “auri levatores” - lavatori d'oro - sono obbligati a vendere l´oro ritrovato direttamente alla camera dei mercanti. La ricerca dell´oro veniva effettuata sopratutto in inverno, nei periodi di magra del fiume, con il lavaggio manuale delle sabbie e dei ciottoli usando tavole di legno inclinate, badili, gerle e grandi cucchiai di legno.

L´interesse per l´oro recuperato con cosi tanto sforzo si perde ben presto, nel Cinque-Seicento era già avvenuta un´attività collaterale e a Pavia viene segnalata per questo periodo oramai solo una famiglia di ricercatori professionisti. Tuttavia l´oro continua a giocare un´ruolo nel folclore – fino agli anni Trento del XX secolo era tradizione che lo sposo raccoglieva personalmente l´oro dal fiume per forgiare la vera nuziale. 

6 luglio 2016

L´oro degli stolti

La pirite é un disolfuro di ferro molto comune e forma dei bei cristalli giallo ottone con lucentezza metallica*– non sorprende che viene regolarmente scambiata per oro da cui deriva il nome volgare dell´ “oro degli stolti”.
 

Fig.1. Cristalli cubici di pirite in scisto cloritico, Lappago, Alto Adige.

Il termine pirite deriva dall´antico greco “pyr” - cioè fuoco, nome dato a alcuni minerali e rocce che emettevano scintille per strofinamento e potevano essere usate per accendere il fuoco (venne da prima usata come pietra focaia degli acciarini per le prime armi da fuoco, ma essendo troppo fragile rimpiazzata con della selce). Nel Cinquecento l´uso del nome si restrinse ai solfuri metallici e nel Settecento  si distingue le tre varietà della pirite – la pirite vera e propria, la calcopirite e l´arsenopirite. Solo nel Ottocento il termine assunse il significato che ha oggi.
 

Fig.2. Sezione petrografica con pirite (e sfalerite).

* in alcune culture, come la civiltá mixteca (Messico) fu usata perfino come specchio.
 

Bibliografia:
 

RICKARD, D. (2015): Pyrite: a natural history of fool’s gold. Oxford University Press: 320

28 maggio 2016

Charles Darwin e la vita aliena

Nel agosto del 1881 la rivista Science (non l´attuale Science) pubblicó un´breve resoconto da parte di due illustri menti - il tedesco Otto Hahn (non il fisico) e geologo-biologo C.R.Darwin. Nel testo, frutto di uno scambio di lettere tra i due, si parlava nientedimeno della scoperta di vita extraterrestre!

Darwin aveva pubblicato la sua teoria dell´evoluzione nel 1859 in cui proponeva che da semplici forme di vita nel tempo si erano evolute più complessi organismi. Ma questa teoria aveva un grosso problema. Il tempo necessario per l´evoluzione era vastissimo e al tempo di Darwin non sembrava che la terra era vecchia abbastanza per spiegare l´osservabile complessità e diversità moderna. A quei tempi non esistevano ancora metodi per datare rocce e ci si doveva accontentarsi di stime basate sulla velocità di erosione e sedimentazione, che davano un´età della terra di alcuni centinaia di milioni di anni al massimo. La terra sembrava essere troppo giovane per la teoria dell´evoluzione.

Ma esisteva una soluzione per risolvere questo paradosso - cosa se la vita era nata nello spazio profondo miliardi di anni fa e solo molto più tardi avrebbe "inseminato" la terra primordiale, vecchia alcuni millioni di anni?

Hahn era un avvocato di professione e naturalista per passione e aveva già pubblicato alcune ricerche su fossili primordiali. Il più antico organismo allora conosciuto era Eozoon, strana creature composta da singole cellule e fibre e conservata nelle rocce del Canada datate a mezzo miliardo di anni fa.

A Hahn appariva creature troppo complessa per essersi evoluta spontaneamente sulla giovane terra e ritenevo questa scoperta un´indizio che supportava la sua teorie della vita venuta dallo spazio profondo o panspermia. Poco dopo cominciò a scoprire organismi simili anche in meteoriti, il tutto pubblicato nel suo libro "Le meteorite (condrite) e i loro organismi" (1880).
Fig.1. Il titolo del libro di Hahn, con una condrite (minerale granulare fratturato da impatti di bolidi nello spazio profondo), che Hahn riteneva un´tipo di spugna aliena.

Hahn scrisse alcune lettere a Charles Darwin e li regaló una copia del suo libro, annunciando la sua scoperta al famoso naturalista. Darwin, come era sua abitudine, rispose cortesemente a Hahn che l´idea sicuramente valeva la pena di ulteriore ricerche e consigliava di contattare alcuni illustri geologi, più esperti nella preservazione di antiche forme di vita in rocce. Per Darwin la questione finiva qui.


Non é chiaro chi abbia scritto l´articolo nella rivista Science, che annunciava direttamente "la scoperta di alieni" da parte di Darwin e Hahn. Darwin non si sbilancio mai a proposito e in pubblico mai si espresse sull´origine della vita (anche se in lettere private ipotizza delle reazioni chimiche in acqua stagnante, ma comunque terrestre).

Sfortunatamente per Hahn, Eozoon, l´organismo modello, ben presto si rivelò essere un pseudofossile, le cellule erano in verità semplici minerali metamorfici. Seguenti ricerche dimostravano inoltre che la terra era molto piú antica di quanto si credeva e cera abbastanza tempo per forme di vita terrestre a evolversi naturalmente, nelle parole immortali di Darwin “Vi è qualcosa di grandioso in questa concezione della vita, con le sue molte capacità, che inizialmente fu data a poche forme o ad una sola e che, mentre il pianeta seguita a girare secondo la legge immutabile della gravità, si è evoluta e si evolve, partendo da inizi così semplici, fino a creare infinite forme estremamente belle e meravigliose.”

Bibliografia:

WYHE, van J. (2010): ‘Almighty God! What a wonderful discovery!’: Did Charles Darwin really believe life came from space? Endeavour, 34(3): 95-103

11 maggio 2016

La cosiddetta teoria dello slittamento polare

La teoria pseudoscientifica di Charles H. Hapgood (1904-1982) sullo slittamento polare  è strettamente legata alla scoperta della mappa di Piri Reis (Piri Reis era un´cartografo ottomano, 1465/70–1553). 


A detta di Hapgood la mappa sembra rappresentare il continente antartico senza la calotta di ghiaccio che lo ricopre attualmente, come se il cartografo che ha redatto la carta fosse vissuto in un tempo anteriore alla sua formazione o che avesse avuto a disposizione una tecnologia cosi avanzata da poter "vedere" attraverso il ghiaccio. 

Entrambi le spiegazioni sono impossibili per il 16°secolo, ma Piri Reis aveva disegnato la sua carta basandosi su materiale più antico. Hapgood perciò sviluppa una teoria in cui propone che la mappa originale fu creata da una fantomatica civilità antica  e che le calotte polari si sono formati in tempi relativamente recenti. Secondo Hapgood la crosta terrestre si può improvvisamente spostare relativamente al mantello terrestre (la sua teoria non dovrebbe essere confusa con l´inversione dei poli magnetici), portando cosi zone tropicali in zone polari, che ghiacciano. Hapgood ricostruisce perfino una serie di slittamenti per spiegare le diverse estensioni delle glacazioni:
 
- fino a  90.000 a.C. il polo si trovava nell'Alaska
- fino al 50.000 a.C. il polo si trovava vicino alla Norvegia
- fino al 12.000 a.C. il polo si trovava nella baia di Hudson
e infine la situazione attuale.
 
Il tutto fu pubblicato nel libro esoterico "Maps of the Ancient Sea Kings" in cui offre altre cartine simili alla mappa di Piri Reis e includi esempi di frasi bibliche che descrivono come il sole abbia cambiato direzione (fenomeno osservabile su una terra capovolta) ... letterato e storico non si interessa in nessun modo per geologia o geofisica.
 
Proprio la sua cronologia non vale per l'Antartide, cioè per il continente per la quale Hapgood ha concepito il tutto, dato che il ghiaccio che copre il continente risale almeno  a 2 a 3 milioni di anni fa. Quindi 12.000 anni fa non era possibile che l'Antartide si potesse trovare a nord in una posizione dal clima più mite e senza ghiaccio.
 
Che la crosta terreste possa scivolare in tutto sul mantello é necessario un'astenosfera uniforme, ma rilievi geofisici hanno mostrato che la zona e formata da chiazze di materiale semi-fuso e rigido. La crosta su di esso non si può muovere in un´unico pezzo, perció le placche tettoniche. Se invece fosse la crosta e il mantello a ruotare rispetto al nucleo, allora le forze in gioco dovrebbero essere immani e da dove reperire l´energia?
 

Inoltre i documenti storici usati da Hapgood, che mostrerebbero l´Antartide, in verità mostrano la costa sudamericana, esplorata da Amerigo Vespucci nel 1500 - la carta di Piri Reis risale però al 1513, anche se di notevole qualità, non impossibile per le conoscenza di quei tempi.

1 aprile 2016

Uno scherzo ben riuscito: L´Uomo di Piltdown

La falsificazione di fossili oggigiorno ha perlopiù scopo commerciale, molte fiere presentano fossili composti da singoli pezzi di valore minore o completamente falsi. Scalpore fece il cosiddetto "Piltdown chicken", un falso dinosauro-uccello venduto alla rivista National Geographic nel 1999. Prima dei dinosauri però l´Inghilterra vittoriana impazziva per i mammiferi fossili. Cosi era solo una questione di tempo finché il primo "Piltdown man" fu scoperto.
 
Durante l´inizio del ventesimo secolo la ricerca dei nostri avi, i "missing link" tra uomo e animale, era un punto cruciale nel ambito della paleontologia. 1907 fu trovata una mandibola in Germania che mostrava caratteristiche intermedie tra scimmie e uomo - un buon inizio, ma i scienziati cercavano di meglio.
 
Nel 1908 in una cava nei pressi della città di Piltdown nel Sussex alcuni operai trovarono alcuni strane ossa e li consegnarono al antiquario e paleontologo amatoriale Charles Dawson. Dawson si mise a ricercare per conto suo sul sito del ritrovamento, più tardi fu aiutato di Arthur Smith Woodward, custode del dipartimento di geologia del British Museum.
 
Fig.1. Scavo delle ghiaie di Piltdown nel 1911, con Dawson (a destra) e Woodward (al centro).
 
Tra giugno e settembre del 1912 i due ritrovarono i frammenti di un teschio quasi completo e una mascella.
Woodward annunciò che il cranio era simile a quello dell'uomo moderno, eccetto per l'occipite (la parte del cranio che poggia sulla colonna spinale) e per le dimensioni del cervello, che erano circa due-terzi di quello dell'uomo moderno. Egli poi proseguì indicando che, salvo per la presenza di due molari uguali a quelli umani, la mascella trovata era indistinguibile da quella di un moderno scimpanzé.
Basandosi sulla ricostruzione del cranio fatta dal British Museum, Woodward propose che l'uomo di Piltdown rappresentasse un anello mancante evolutivo tra la scimmia e l'uomo, poiché la combinazione di un cranio uguale a quello umano con una mandibola uguale a quella di una scimmia tendeva a sostenere il concetto allora prevalente in Inghilterra che l'evoluzione dell'essere umano fosse guidata dal cervello.


Ma fin dal primo momento, la ricostruzione di Woodward dei frammenti di Piltdown fu aspramente messa in discussione. Molti dichiaravano che le parti fossili non avessero niente a che fare l´una con l´altra, il teschio sembrava troppo moderno per combaciare con una mandibola dai tratti cosi scimmieschi. Al Royal College of Surgeons le copie degli stessi frammenti usati dal British Museum nella loro ricostruzione furono usate per produrre un modello totalmente diverso, uno che nelle dimensioni del cervello e in altre fattezze rassomigliava all'uomo moderno. 

Fig.2. La ricostruzione del teschio di Piltdown secondo Woodward (in alto) e Keith (in basso).

Malgrado queste differenze, comunque, non sembra che la possibilità di un vero e proprio falso sia stata formulata relativamente al cranio, e cosi fu coniata una nuova specie - Eoanthropus dawsoni.

Col passar degli anni, ulteriore scoperte furono fatte a Piltdown: ossa d´animali, un oggetto che ricordava una mazza da cricket (!) e due ulteriori teschi. Nel 1915 Dawson affermò di aver trovato frammenti di un secondo cranio (Piltdown II) in un secondo sito. Da quello che si sa il sito non è mai stato identificato e i ritrovamenti sembrano essere completamente spariti (se mai esistevano). Woodward sembra non aver mai visitato questo secondo sito.
 

Dawson mori nel 1916, lasciando come erede della scoperta del "primo inglese" Woodward.
 

Per i prossimi tre decenni l´uomo di Piltdown fu accettato dalla comunita scientifica, pero ulteriore scoperte, sopratutto nell´Africa mostravano che Piltdown non trovava posto nel quadro generale dell´evoluzione umana.
 

Negli anni venti Franz Weidenreich esaminò i resti e riportò correttamente che consistevano di un cranio umano moderno e di una mascella di orango con i denti limati. Weidenreich, essendo un anatomista esperto, rivelò facilmente l'imbroglio per quello che era. Comunque, le comunità scientifiche colo 30 anni piú tardi ammetterà che Weidenreich era nel giusto (1953 K. Oakley, W. Le Gros Clark e J. Weiner del British Museum).
 

Fig.3. Kenneth Oakley (a sinistra) esamina insieme a L.E. Parsons la mandibola di Piltdown.

L'Uomo di Piltdown fu rivelato essere un falso composito, metà scimmia e metà uomo. Esso consisteva di un teschio umano di età massima di 50.000 anni e di una mandibola vecchia alcuni decenni di un orango. L'aspetto invecchiato era stato prodotta macchiando le ossa con una soluzione di ferro e con acido cromico. L'esame microscopico rivelò le tracce della lima, da cui si dedusse che qualcuno aveva limato i denti sino a dar loro una forma più adatta a quella che era la dieta umana.
Per il falsario, l'area dove la mascella si univa al cranio aveva presentato problemi superati con il semplice stratagemma di spezzare i rami terminali della mascella. I denti canini nella stessa erano poi stati limati per farli corrispondere, e fu questa modifica a far dubitare dell'autenticità dell'intero reperto. Per caso si osservò che la cuspide di uno dei molari aveva un angolo molto diverso da quello dell'altro dente. Un esame più accurato condotto al microscopio rivelò a quel punto le tracce di fresatura e da questo si dedusse che la fresatura aveva avuto lo scopo di alterare la forma dei denti, che nella scimmia è molto diversa da quella dei denti umani.
 

Il falsario non fu mai identificato, pero un sospetto ricadde su Dawson, che cosi probabilmente, ingannando il povero Woodward, considerato a suo tempo uomo onesto al di sopra di ogni sospetto, si sarebbe procurato l´ambita fama scientifica. D´altra parte l´oggetto a forma di mazza per alcuni autori é indizio che ci fu un terzo uomo, che dopo il riuscito scherzo cerco di smascherare la truffa (inutilmente).

31 gennaio 2016

Tra Mito e Geologia: La Bestia del Gévaudan

Nel estate del 1764 sui monti del Massiccio Centrale francese, oggi dipartimento del Lozére, al tempo regione del Gévaudan, apparve una misteriosa creatura. La sua prima vittima fu Jeanne Boulet, una ragazza di 14 anni ritrovata mezzo divorata sui altopiani nei pressi di Ètienne-de-Lugdarés. Un mese dopo fu sbranata un´altra  ragazza a Puylaurent. Le autorità locali avvertite si organizzarono per delle battute di caccia per stanare la bestia e avvertirono la popolazione del pericolo con una precisa descrizione dell´animale:

di colore marrone-rossastro con una striscia scura lungo tutto il dorso, simile a una via di mezzo tra una iena e un lupo, grande come un asino, spesso con la bocca aperta, con sei artigli per zampa, orecchi diretti, coda lunga molto pelosa e agile come un gatto.”
La bestia del Gévaudan in una stampa dell´epoca, il paesaggio visibile sullo sfondo e la geologia gioceranno un ruolo importante nel mito della bestia.

Gli attacchi ed uccisioni tra il 1764 al 1767 da parte della misteriosa bestia si concentrarono perlopiú tra il confine del Gévaudan (oggi Lozére) vero e proprio e l´Auvergne, famosa per i suoi vulcani estinti.

Dopo ulteriore vittime e aggressioni il panico si diffuse e perfino il re fu obbligato a inviare nella regione i suoi cacciatori migliori. Il cacciatore scelto D´Enneval de Vaumesle, dopo un primo sopralluogo constato che “Questa bestia non sará affatto facile da prendere.“ Infatti la bestia fu scovata ripetutamente ma riusci sempre a sfuggire, approfittando del terreno impervio della regione, caratterizzato  da ripide montagne, boschi e paludi, burroni e caverne. 

Carta di una parte dell´Auvergne con riconoscibili antichi coni vulcanici (cosidetti Puy) e flussi di lava. Una delle prime rappresentazioni della topografia di un paesaggio di orgine vulcanica, pubblicata nel 1774. Il regno della bestia si trovava in fondo a destra, ai piedi del massiccio di Cantal nei pressi di St.-Flour.

L´aspro territorio del Gévaudan, che includeva ai tempi aree dei odierni dipartimenti di Lozére e Auvergne, e formato da antichi massicci vulcanici e basamento cristallino. Le dure rocce (perlopiú basalti), resistente all´erosione, formano montagne isolate con pareti ripidi e spazi angusti tra di loro, e i pochi spazi liberi sono coperte da dense foreste. Le rocce massicce del sottosuolo formano una copertura impermeabile, favorendo la formazione di acquitrini e paludi, in cui i cacciatori a dorso di cavallo non potevano seguire la bestia. Antichi condotti di vulcani si sono riempiti col tempo con le acque superficiali, formano laghi molto profondi e dall´aspetto curiosamente circolare, scavati dalle esplosioni prodotti dal contatto tra magma e acqua. Altri coni vulcanici, estinti da appena 10.000 anni, sono meno erosi e ancora riconoscibili nel paesaggio.
 
Paesaggio nei pressi della palude di Narse, con riconoscibili antichi coni vulcanici.
 
Lac Pavin, un´ antica caldera vulcanica, ora un tranquillo e cupo lago.

Cava di basalto nei pressi del villaggio di Le Pont de Alleray, si riconoscono le tipiche colonne di basalto che si formano col raffreddamento dei flussi di lava.
Le Pont de Alleray.
Le Pont de Alleray.

Questo era il territorio della bestia del Gévaudan, che tra il 1764 al 1767 uccise almeno 116 
bambine e donne. 

La cattedrale di Saint-Flour, costruita con rocce basaltiche estratte dalle cave locali. La bestia del Gévaudan fu al tempo anche considerata una punizione sovrannaturale, anche se l´opinione generale dei cacciatori e naturalisti incaricati di stanarla era che si trattava di un lupo di straordinari dimensioni. Aggressioni da parte di lupi erano comuni ai quei tempi.

Il Puy Mary (1.785 m) che domina il massiccio di Cantal, il piú imponente edificio vulcanico del Massiccio Centrale francese. Trovandosi in mezzo alla Francia, l´area possiede un clima continentale, con lunghi e duri inverni, anche su elevazioni piú basse.

Nel corso degli anni furono abbattuti diversi esemplari di grandi lupi nei monti del Margérid, ma solo con l´uccisione di un grosso esemplare nella foresta di Teynazére nel 1767 l´incubo fini una volta per tutte.
 
Durante l´autopsia il grande canide fu descritto come segue:
 
...La testa era mostruosa, di una forma quadrata, molto più larga e più lunga di quella di un lupo ordinario, il muso era un poco ottuso, gli orecchi diritti e larghi alla loro base, gli occhi neri e caratterizzato da una membrana molto singolare. L´apertura della bocca era molto grande, I denti incisivi simili a queste di un cane, i grossi denti stretti e impari, il collo molto largo e forte, ricoperto di un pelo rude, estremante lungo e folto, con una banda trasversale nera discendente fino alle spalle, il treno posteriore abbastanza somigliante a quello di un lupo, eccetto l´enorme grossezza, le gambe davanti più corte di quelle di dietro.”

La bestia era morta ma un mito era nato...

Bibliografia:
 
DESMAREST, N. (1771): Mémoire sur l’origine et la nature du basalte à grandes colonnes polygones, determinées par l’histoire naturelle de cette pierre, observée en Avergne In: Mémoires de l’Académie Royale des Sciences à Paris pour 1771.
LEWIS, T.A.(ed) (1985): Volcano (Planet Earth). Time-Life Books: 176
MIALLIER, D. ; MICHON, L. ; EVIN, J. ; PILLEYRE, T. ; SANZELLE, S. & VERNET, G. (2004) : Volcans de la chaine des Puys (Massif central, France): point sur la chronologie Vasset-Kilian-Pariou-Chopine. C.R. Geoscience 336 : 1345-1353
RUDWICK, M.J.S. (2008): Worlds before Adam – The Reconstruction of Geohistory in the Age of Reform. The University of Chicago Press: 614
SMITH, J.M. (2011): Monsters of the Gévaudan – the Making of a Beast. Harvard University Press:378

27 settembre 2015

Il diluvio universale nella storia della geologia

“[...] le scritture sacre non possono insegnare nulla ai filosofi della natura, e riempiono la mente con pregiudizi, mentre ci insegnano le vie per le sfere celesti, e non i fenomeni del mondo."
Antonio Vallisneri
È un mito moderno – la scoperta della biblica Arca di Noè, ma a parte sensazionali affermazione mai nessuna prova concreta é emersa. Comunque  vale la pena di approfondire la tematica dell´antico mito del diluvio universale e il ruolo che questa spiegazione - un’inondazione mondiale - ha giocato nella storia della geologia.

La storia del diluvio universale della bibbia si basa su un racconto ancora più antico, Il "poema epico di Gilgamesh" fu scoperto nel 1850 inciso su tavolette di argilla datate tra il 2.900 e 1.530 a.C. In questo mito si racconta come  i dei infastiditi  dal rumore degli uomini mandarono una inondazione, da cui solo un uomo di nome Utnapischtim, insieme alla moglie e degli animali, riuscì a salvarsi imbarcandosi su una grande nave. Dalla cultura mesopotamica il mito si é diffuso poi sia in storie orientali che occidentali.
 
È noto che già Leonardo da Vinci (1452-1519), basandosi su osservazioni di fossili completi nelle colline di Milano, rifiuta l´ipotesi di un’alluvione, che avrebbe distrutte e disperse le fragili conchiglie. Da Vinci non pubblica le sue osservazioni e cosi fino alla meta del 19° secolo I depositi della glaciazione furono interpretate come le prove tangibili del diluvio, da cui prese anche il nome della prima divisione stratigrafica dei sedimenti in pre-diluviali e diluviali.
Ma già nel 18° secolo molte controversie emergono sulla tematica. Il medico e naturalista Johann Jakob Scheuchzer (1672-1733) interpreto sia fossili che le rocce sedimentarie osservati sui monti come prova del diluvio universale. Scheuchzer era in contatto con il naturalista italiano Antonio Vallisneri (1661–1730) che però reinterpreto le varie prove presentate. Perché fossili potevano essere trovati solo in certi strati e località ? Valisneri riporta l´esempio delle montagne toscane, in cui aveva osservato conchiglie simili a quelle che possono essere trovate nel mare, mentre nelle Alpi - cosi Valisneri - non si potevano trovare tali conchiglie. Vallisneri, pur considerando la spiegazione biblica, postula che si trattava di depositi di diverse inondazioni, spiegazione che pero portava a un´altro problema. 
Se si trattava di più episodi, questi dovevano succedersi nel corso del tempo e la terra essere molta antica, il che non combaciava con la presunta cronologia biblica. Anche I spessi strati di rocce osservate ponevano un grande problema per l´idea di un singolo diluvio ma una terra giovane (stimata in alcuni migliaia di anni al massimo).
Il problema non fu veramente risolto fino al 19° secolo. Il naturalista Georges Cuvier (1769–1832) assumeva che il diluvio universale era l´ultima di una serie di rivoluzioni globali, che si erano susseguite in tempi remoti. Il geologo britannico Charles Lyell (1797-1875) postulò che eventi catastrofici erano l´eccezione e non la regola sulla terra, catastrofi globali impossibili e perciò il diluvio una spiegazione inutile. Il punto più importante era la reinterpretazione dei depositi diluviali, non come sedimenti depositati da acqua, ma sedimenti glaciali.
 
Per quanto riguarda la "scoperta" dell´Arca … nel 1829 il medico tedesco Friedrich Parrot, primo scalatore dell'occidente a salire sull´Ararat (in turco Agri Dagh, la montagna del castigo e un vulcano attivo) poté ammirare una croce del monastero di Echmiadzin (distrutto da una eruzione vulcanica nel 1840) che secondo leggenda era costruita con il legno dell´Arca. Nel 1919 l´aviatore russo Roskowistzki riprese una strana formazione nel ghiacciaio dell´Ararat, che però con successivi studi si rivelò una semplice formazione geologica.
 

Nel 1955 un industriale francese, Ferdinand Navarra, di ritorno da una terza spedizione sul luogo, affermò di avere recuperato una trave di legno di quercia dal ghiacciaio dell´Ararat a 4.000m (nei pressi della gola Ahora, dove sorgeva il monastero, sul lato nord-est del vulcano). Una datazione risulto in un´eta di 5.000 anni, ma la storia inverosimile dell´archeologo dilettante e dubbi di come una trave di legno si potesse preservare in un ghiacciaio in movimento per 5.000 anni, fece nascere seri dubbi sulla veracità del reperto.
 

Negli anni ottanta e novanta gli arceologi, come si auto-riferiscono i ricercatori dilettanti, si misero a interpretare le foto disponibili di aerei di spionaggio russi e americani, senza risultato concreto e con solo molte speculazioni su delle macchie nel ghiaccio.
 
Per la tradizione del corano l´arca si é arenata nell'odierna Turchia, sull´altopiano di Dogubayazit a 2.300m di quota e a 300 chilometri a sud dell´attuale monte Ararat. Questo territorio si trova ai confini di quella regione che storicamente era chiamata Ararat. Esplorando la zona nel 1910, l´archeologa inglese Gertrude Bell scopri una conformazione geologica, che naturalmente fu interpretata come i resti dell´arca pietrificata ! Nel 1994 David Fasold dell´Università del New York presento i risultati di sei anni di ricerca sulla presunta arca e affermó che strati di ossido di ferro rappresentavano i resti delle fasce di ferro dello scafo e delle pietre trovati nella zona erano state usate come ancore o stabilizzatori. Ma I geologi Lorence Collins e Ian Pilmer, che visitarono il sito, smentirono le strambe teorie di Fasold che dovette pubblicamente ritirare le sue affermazioni. La struttura non era altro che una grande piega geologica, erosa dal sottosuolo.
 
Bibliografia:
 
KÖLBL-EBERT, M. (ed.) Geology and Religion: A History of Harmony and Hostility. The Geological Society, London, Special Publications, 310: 77–81

2 agosto 2015

In viaggio geologico insieme a Darwin

Fin dalla sua gioventù Charles Darwin aveva mostrato un interesse al mondo naturale – tra cui campi classici come la collezione di coleotteri e di minerali. I suoi primi passi da vero naturalista, con tanto di pubblicazioni, seguirono la geologia dei luoghi che aveva visitato durante il viaggio dell’ Beagle tra il 1831-1836.
 
Ma già il nonno di Darwin, Erasmus Darwin, si interessò alla geologia e studio le formazioni geologiche scoperte in grotte naturali e si interesserò  della formazione di minerali. Scopri fossili e ipotizzava su questa osservazione che la terra era notevolmente più antica di quanto immaginato in testi sacri e che la vita si poteva generare ed evolvere spontaneamente.
 
Durante i suoi anni universitari, Charles Darwin non s´interesserò particolarmente alla geologia, ma nel 1831 il botanista John Stevens Henslow introdusse Darwin a Adam Sedgwick, professore di geologia e botanica all´università di Cambridge.
Sedgwick stava studiando le rocce del North-Wales, interessato alla revisione stratigrafica della zona (Sedgwick più tardi definisce l´epoca geologica del Cambriano basato sulle osservazioni raccolte durante questa spedizione) una grande opportunità per Darwin, nativo della piccola cittadina di Shrewsbury. Darwin scrive a un collega "Sono ora pazzo [per] la geologia...[]".
 
Sedgwick arriva a Shrewsbury il due d´agosto, visita alcuni affioramenti nelle vicinanze, non é chiaro se già insieme con Darwin, di sicuro i due naturalisti lasciano la cittadina il 5. agosto, dirigendosi verso nord. Secondo le carte geologiche dell´epoca le formazioni geologiche che interessavano Sedgwick affioravano in questa zona, ma anche con l´aiuto di un altro noto geologo, Robert Dawson, i tre non riuscirono a trovare la formazione del Old Redstone. Sedgwick continua perciò il suo viaggio verso l´isola di Anglesey, Darwin nella sua autobiografia scrive che i due si separarono, dato che Darwin voleva studiare le rocce vulcaniche di Capel Curig – ma durante il viaggio sulla Beagle Darwin descrive affioramenti di serpentinite sulle isole di Capo Verde, questo tipo di roccia Darwin avrebbe potuto solo incontrarla su Anglesey, anche se in alternativa é possibile che abbia studiato i campioni raccolti da Sedgwick.
 
Fig.1. Carta geologica del North-Wales e l´isola di Anglesey (cartografata per la prima volta da Henslow nel 1821), con la spedizioni di Darwin e Sedgwick ricostruita da ROBERTS 2001.

Passando per Barmouth il 29. agosto Darwin ritorna a casa a Shrewsbury, dove lo aspetta una lettera del capitano FitzRoy - un´invito per una spedizione naturalistica-geologica (FitzRoy era un´appassionato geologo amatoriale) intorno al mondo a bordo del brigantino "HMS Beagle".

Tutt'oggi venti pagine di note scritte da Darwin durante l´esplorazione del North-Wales sono conservate e nella sua autobiografia Darwin nota che "questa spedizione era decisiva per mostrarmi un po' come mappare la geologia di un paese…" Difatti durante il suo viaggio a bordo della Beagle Darwin riempia 1.383 pagine con note geologiche e solo 368 con note biologiche.
 
Darwin pubblica i suoi libri sulla geologia osservata durante i cinque anni di viaggio tra il 1842 e 1848. Dal luglio 1844 in poi lavora a una versione pubblicabile sulla sua teoria di trasmutazione delle specie per via della selezione naturale  - nell' opera finale "On the Origin of Species", pubblicata nel 1859, la geologia comunque occuperà "solo" due capitoli, forse un risultato del suo “frettoloso” lavoro dopo la lettera di A. Wallace, ricevuta nel 1858. Forse lo spazio limitato dedicato alla geologia scaturisce anche dalla sua considerazione che il record fossile non era abbastanza completo per dimostrare la sua teoria, ma forse anche semplicemente dal fatto che gli interessi di Darwin si erano nuovamente diretti verso la zoologia e botanica. 
Ma non c´é dubbio che la geologia ha giocato un importante ruolo nel pensiero di Darwin –  la geologia, con I suoi lenti ma inesorabili movimenti e cambiamenti, era un perfetto esempio di come anche la vita poteva – lentamente ma inesorabilmente – evolversi.
 
Bibliografia:
 
HERBERT, S. (2005): Charles Darwin, Geologist. Cornell University Press: 485
ROBERTS, M. (2001): Just before the Beagle: Charles Darwin's geological fieldwork in Wales, summer 1831. Endeavour Vol. 25(1): 33-37

18 luglio 2015

Alla Ricerca dell´Immortalità Geologica

Il mio nome è Ozymandias, re di tutti i re,
Ammirate, Voi Potenti, la mia opera e disperate!
Null'altro rimane. Intorno alle rovine
Di quel rudere colossale, spoglie e sterminate,
Le piatte sabbie solitarie si estendono oltre confine

Non sapevano se era la maledizione, di cui gli anziani avevano raccontato da generazioni, ma da quando avevano aperto quella strana caverna, con le pareti ricoperte da simboli gialli, ma anche strisce rosso e bianche e che nessuno poteva comprendere, una strana malattia li aveva colpito. Strani tumori ricoprivano il corpo e molti di loro morirono...
 
Molti di noi si ricorderanno ancora della disastro di Cernobyl', dopo l´esplosione del reattore materiale radioattivo fu liberato nel ambiente e trasportato coi venti in tutte le direzioni - un´pericolo che non si poteva vedere, sentire o toccare, ma comunque si sapeva esistere. Ma cosa succederebbe se una civiltà, a cui la tecnologia della fissione nucleare é sconosciuta, scoprirebbe i resti fossili delle nostri centrali nucleari o ancora peggio si aprisse un varco nei depositi per le scorie nucleari? Le scorie prodotte oggigiorno rimarranno radioattivi e pericolosi per 10.000 a 100.000 anni, come tramandare l´avvertimento del pericolo non visibile sprigionate da esse?
 
Il film "Into Eternity" esplora la costruzione di un deposito di scorie nucleari in Finlandia - che deve persistere per almeno 100.000 anni e con lui la memoria del pericolo contenuto in esso.

L´uomo fin dall´antichità ha cercato di sconfiggere il tempo, cercando l´immortalità tramite una memoria eterna di se stesso. Ma la storia insegna che nulla dura in eterno – anche i monumenti più grandi di una potente civiltà possono svanire,  forse per mano di una catastrofe naturale, forse una rivoluzione o un semplice graduale cambio della priorità e identità culturale. Monumenti potevano tenere sveglio il ricordo di un certo imperatore per decenni e secoli, ma se la civiltà svanisce, cosi svanisce anche il ricordo, anche se l´umanità come specie continua la sua esistenza  – cosi dopo il declino e crollo dell´impero romano, il colosseo perse ogni significato culturale e ben presto fu usato dai nuovi arrivati come cava per pietre di costruzione.
 
Di sicuro il formato elettronico é il meno adatto archivio se si pensa ai tempi geologici– formati come audiocassette e floppy-disc sono  illeggibili già tuttora, dato che la tecnologia per leggerli é obsoleta e rimpiazzata da tecnologie digitali. Ma anche queste prima o poi diverranno obsolete e probabilmente saranno dimenticate. La carta, se conservata in modo adatto, può sopravvivere alcuni centinaia di anni. Le tavolette di argilla iscritte dai sumeri sono ancora leggibili dopo 5.000 anni, anche se era necessario riscoprire il modo di leggere la scrittura cuneiforme. La resistenza di rocce contro le intemperie del tempo ha ispirato l´artista Martin Kunze a creare un archivio della conoscenza – il “Memory of Mankind”- sotto forma di tavolette di ceramica in cui vengono impresse immagini e teste. Anche se materiale resistente, anche questo formato verrebbe eroso dal tempo, per questo si ha deciso di depositare il tutto in una antica miniera di sale. Il sale é un minerale plastico, col passare del tempo tende a riempire la cavità scavata in esso, inglobando le piastrelle di ceramica e proteggendole da infiltrazioni d´acqua o movimenti tettonici. Inoltre un´ipotetica civiltà che sarebbe in grado di raggiungere questo archivio, dovrebbe possedere almeno conoscenza e struttura basilare (avendo inventato l´estrazione mineraria), cosicché essere in grado di comprendere di cosa si potrebbe trattare vedendo quei strani segni impressi sulle tavolozze e cercare di tradurre quei testi e avvertimenti.
 
Simile approccio é stato usato dalla agenzia nazionale francese per lo smaltimento delle scorie radioattive – creando dei dischi di ossido di allumino (saffiro sintetico), placcate in platino, durata stimata di leggibilità é di alcuni migliaia di anni – se esiterà ancora la tecnologia per leggere I microsimboli impressi su questi dischi.
 
Un´intrigante alternativa agli archivi scritti fu ideata dal linguista Thomas Sebeok (1920-2001) – l´idea é di tramandare il pericolo e i luoghi proibiti tramite leggende e miti, quasi come una religione. La descrizione del pericolo potrebbe essere tramandata da generazioni in generazioni, sotto forma di comandamenti o riti. 
Ma anche qui si pone il problema, generazioni future potrebbero capire il significato dietro un certo gesto, o ripeterlo automaticamente per pura comodità (chi si ricorda il vero significato dietro l´albero di natale, simbolo celtico della vita rigenerata, adattato prima dal cristianesimo e poi dal capitalismo). E cosa dire di un possibile abuso di questo "sapere proibito"? Chi non si ricorda l´ultimo atto del film "Beneath the Planet of the Apes" (1970), in cui gli ultimi sopravissuti venerano una bomba atomica come il loro unico e vero dio... un dio della morte...

4 luglio 2015

Rocce e Minerali: I Feldspati

I feldspati sono il gruppo di minerali più comuni in assoluto nella crosta terrestre, formandone da soli più della metà. I feldspati comprendono minerali che formano perlopiù cristalli prismatici più o meno tabulari, generalmente di colorazione biancastra anche se esistono varietà di colorazione rossa, blu-verde e gialla. Lucentezza vitrea, durezza di Mohs tra 6 a 6.5 con densità di circa 2.6 g/centimetri-cubi. 
I feldspati formano una serie isomorfe tra I membri di un triangolo di miscibilità – i termini puri comprendono il feldspato di potassio (K), di sodio (Na), di calcio (Ca) e di bario (Ba), quest´ultimo, chiamato celsiana in onore del naturalista svedese A. Celsius é piuttosto raro. L´ortoclasio, il cui nome significa “frattura ad angolo retto”, dato che la sfaldatura avviene secondo due piani di sfaldabilità quasi a angolo retto, contiene potassio (K). L´albite, feldspato di sodio (Na), deriva il nome dal greco albus – bianco, a causa del suo colore. L´anortite, l´altro termine dei feldspati con il sodio rimpiazzato dal calcio (Ca), dal termine anortos, l´obliquo, a causa della sua struttura cristallina. Il termine generale usato per queste due modifiche di minerale  – il plagioclasio – fa anch´esso riferimento alla sfaldatura obliqua che caratterizza questi cristalli, dal greco plagios – obliquo.
 
I feldspati sono componenti essenziali di quasi tutti I tipi di rocce, rispecchiandone anche il chimismo. Un granito, ricco in silice, tende a contenere oligoclasio (Na, Ca), mentre un basalto, ricco di ferro e magnesio e povero di silicio, tende a contenere un plagioclasio ricco di Ca.
Fig.1. Il periclino é una varietà di albite tipica e frequente delle fessure alpine, dove forma cristalli prismatici allungati e talvolta geminati in modo caratteristico.
Fig.2. Gneiss occhiadino, tipica roccia di alto grado di metamorfismo. Grandi, ma deformati cristalli di feldspato formano gli "occhi" i sottili veli scuri che circondano gli «occhi» sono letti di mica che formano la scistosità poco sviluppata.
 

I feldspati comprendono anche I cristalli più grandi conosciuti, con un microclino con dimensioni di 50x36x14m con un peso di 16.000 tonnellate scoperto nel Colorado

11 giugno 2015

William Smith e la mappa che a che ha cambiato il mondo

Giugno 11, 1813, l´ingegnere e rilevatore William Smith viene arrestato e portato alla prigione di  King's Bench a sud di Londra. Dopo anni di attesa, uno dei tanti creditori di Smith aveva finalmente sporto denuncia, Smith fu imprigionato finché i suoi averi fossero messi all´asta per pagare i suoi debiti. Smith in una nota scritta molto più tardi ricorda:

L´uomo e i suoi fossili forse possono essere imprigionati, ma mai le sue scoperte ... la collezione perduta, libri e pubblicazioni disperse, a lui fu tolta ogni cosa tranne i suoi ricordi."

Smith per anni aveva investito (e perso) grandi somme di denaro nella pubblicazione di una carta topografica molto speciale – sopra la topografia aveva delimitato e colorato delle aree che rappresentavano la litologia del sottosuolo.
 
Smith non era il primo con questa idea, ma era il primo a realizzare una carta a grandi dimensioni (che comprendeva quasi tutta l´Inghilterra) e il primo ad usare anche i fossili per identificare le formazioni geologiche. Prima di Smith il medico e naturalista Martin Lister (1639-1712) aveva proposto di mappare la distribuzioni dei tipi di suolo nella campagna. Dato che il suolo si forma dall´erosione delle rocce, questo metodo avrebbe reso possibile creare una carta geologica. Ma Lister, cosi sembra, mai realizzo questa sua idea. L´italiano Luigi Ferdinando Marsili (1658-1730) intraprese il prossimo importante passo: per uso militare creo una carta in cui segnalava gli affioramenti rocciosi (interessanti per la costruzione di fortificazioni) - una carta dei dintorni di Bologna (1717) mostra gli punti e le cave in cui si poteva estrarre rocce e gesso, Marsili poi collega questi singoli punti con un´area tratteggiata, implicando che i strati geologici continuano anche nel sottosuolo.

 
Fig.1. Una carta mineralogica francese pubblicata nel 1780, che mostra cave, miniere e altri punti d´interesse geologico. Il rilievo topografico era all´avanguardia per quei tempi, ma i naturalista ancora esitavano a connettere i singoli affioramenti di rocce tra di loro - dato che non si sapeva praticamente nulla del sottosuolo, sembrava troppo azzardato ipotizzare strati e strutture geologiche.

Smith si spinse oltre. Non solo aveva mappato e colorato un´area vastissima, ma grazie ai fossili guida era capace di separare formazioni geologiche a prima vista molto simili, una risoluzione stratigrafica mai raggiunta prima. Smith capì anche che i strati geologici erano inclinati, usando una ombreggiatura poteva sottolineare questo particolare anche sulla carta geologica. Purtroppo Smith era talmente cauto e meticoloso che ritardò di anni la pubblicazione delle sue carte, intanto si prestava sempre nove somme di denaro, fino a quel fatidico giorno nell´estate del 1813.

Amici di Smith avevano comprato i suoi appunti messi all´asta, non tutto il lavoro era andato perduto. Ma Smith, disilluso, dopo il suo rilascio dalla prigione, fuggi da Londra, mai più a ritornare. Ma la storia per fortuna non finisce qui...


Fig.2. La grande carta geologica pubblicata da Smith nel 1815, Smith si ispirò per i colori all´aspetto delle rocce stesse – economicamente importanti formazioni di carbone sono tenute in nero – Smith era un´uomo pratico é considerava la sua carta come una "mappa del tesoro", utile per capire dove trovare ricchezze geologici – carbone, metalli e rocce edilizie.

Bibliografia:

WINCHESTER, W. (2001): The Map that Changed the World: William Smith and the Birth of Modern Geology. New York: Harper Collins: 352