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17 ottobre 2016

La vita vegetale in una grotta

Fig.1. L´entrata delal caverna degli orsi, nel gruppo delle Conturines (Dolomiti), a quota 2.700m - solo muschi e licheni resistono sotto le rigide condizioni di montagna.

Le grotte costituiscono un ambiente molto particolare per una pianta. Forme di vita basate sulla fotosintesi e luce solare, é praticamente impossibile per loro colonizzare ambienti che per natura sono prive di luce. Una grotta offre pochi diversi habitat e manca perlopiù il substrato necessario a mantenere una pianta. Ma questo non vuole dire che non si possano trovare piante nei primi metri di una caverna. Entrando in una grotta l´intensità luminosa gradualmente si attenua. L´umidità può raggiungere i 100%, anche se possono mancare corpi d´acqua. Nei ambienti ipogei  predominano perciò piante troglofile che tollerano l´ombra, temperature fresche e necessitano di molta umidità (simile a ambienti dei boschi montani o regioni freddi). Gruppi con i preadattamenti necessari includono briofite (muschi ed epatiche), pteridofite (felci) e fanerogame. Licheni, funghi, batteri ed alghe sono in grado di sopravvivere anche nella completa oscurità della grotta.
Vengono distinte quattro zone in cui si può trovare vegetazione, perlopiù delimitate dall´intensità della luce solare:
- zona liminare o zona delle spermatofite, all´ingresso della grotta. Zona di transizione con copertura vegetale ancora sviluppata, dominano ancora le fanerogame dato che trovano ancora abbastanza luce per la loro crescita.
- zona subliminare o zona delle pteridofite, l´intensità luminosa si riduce e dominano le felci e briofite
- zona suboscura, luminosità bassa ma umidità molto alta, presenza esclusiva di briofite ed alghe che vengono rapidamente rimpiazzate da funghi e alghe verdi e alghe azzurre (cianobatteri) verso la finale zona oscura, caratterizzata dalla completa oscurità, dove riescono a sopravvivere soltanto funghi in presenza di sostanza organica in decomposizione.

Bibliografia:
 
CASTELLO, M.; RUSTICI, A. & TENTOR, M. (2011): La vita all´interno delle grotte: Note sui vegetali nella grotta dell´acqua. Natura Nascota, Nr. 42: 9-22

2 agosto 2015

In viaggio geologico insieme a Darwin

Fin dalla sua gioventù Charles Darwin aveva mostrato un interesse al mondo naturale – tra cui campi classici come la collezione di coleotteri e di minerali. I suoi primi passi da vero naturalista, con tanto di pubblicazioni, seguirono la geologia dei luoghi che aveva visitato durante il viaggio dell’ Beagle tra il 1831-1836.
 
Ma già il nonno di Darwin, Erasmus Darwin, si interessò alla geologia e studio le formazioni geologiche scoperte in grotte naturali e si interesserò  della formazione di minerali. Scopri fossili e ipotizzava su questa osservazione che la terra era notevolmente più antica di quanto immaginato in testi sacri e che la vita si poteva generare ed evolvere spontaneamente.
 
Durante i suoi anni universitari, Charles Darwin non s´interesserò particolarmente alla geologia, ma nel 1831 il botanista John Stevens Henslow introdusse Darwin a Adam Sedgwick, professore di geologia e botanica all´università di Cambridge.
Sedgwick stava studiando le rocce del North-Wales, interessato alla revisione stratigrafica della zona (Sedgwick più tardi definisce l´epoca geologica del Cambriano basato sulle osservazioni raccolte durante questa spedizione) una grande opportunità per Darwin, nativo della piccola cittadina di Shrewsbury. Darwin scrive a un collega "Sono ora pazzo [per] la geologia...[]".
 
Sedgwick arriva a Shrewsbury il due d´agosto, visita alcuni affioramenti nelle vicinanze, non é chiaro se già insieme con Darwin, di sicuro i due naturalisti lasciano la cittadina il 5. agosto, dirigendosi verso nord. Secondo le carte geologiche dell´epoca le formazioni geologiche che interessavano Sedgwick affioravano in questa zona, ma anche con l´aiuto di un altro noto geologo, Robert Dawson, i tre non riuscirono a trovare la formazione del Old Redstone. Sedgwick continua perciò il suo viaggio verso l´isola di Anglesey, Darwin nella sua autobiografia scrive che i due si separarono, dato che Darwin voleva studiare le rocce vulcaniche di Capel Curig – ma durante il viaggio sulla Beagle Darwin descrive affioramenti di serpentinite sulle isole di Capo Verde, questo tipo di roccia Darwin avrebbe potuto solo incontrarla su Anglesey, anche se in alternativa é possibile che abbia studiato i campioni raccolti da Sedgwick.
 
Fig.1. Carta geologica del North-Wales e l´isola di Anglesey (cartografata per la prima volta da Henslow nel 1821), con la spedizioni di Darwin e Sedgwick ricostruita da ROBERTS 2001.

Passando per Barmouth il 29. agosto Darwin ritorna a casa a Shrewsbury, dove lo aspetta una lettera del capitano FitzRoy - un´invito per una spedizione naturalistica-geologica (FitzRoy era un´appassionato geologo amatoriale) intorno al mondo a bordo del brigantino "HMS Beagle".

Tutt'oggi venti pagine di note scritte da Darwin durante l´esplorazione del North-Wales sono conservate e nella sua autobiografia Darwin nota che "questa spedizione era decisiva per mostrarmi un po' come mappare la geologia di un paese…" Difatti durante il suo viaggio a bordo della Beagle Darwin riempia 1.383 pagine con note geologiche e solo 368 con note biologiche.
 
Darwin pubblica i suoi libri sulla geologia osservata durante i cinque anni di viaggio tra il 1842 e 1848. Dal luglio 1844 in poi lavora a una versione pubblicabile sulla sua teoria di trasmutazione delle specie per via della selezione naturale  - nell' opera finale "On the Origin of Species", pubblicata nel 1859, la geologia comunque occuperà "solo" due capitoli, forse un risultato del suo “frettoloso” lavoro dopo la lettera di A. Wallace, ricevuta nel 1858. Forse lo spazio limitato dedicato alla geologia scaturisce anche dalla sua considerazione che il record fossile non era abbastanza completo per dimostrare la sua teoria, ma forse anche semplicemente dal fatto che gli interessi di Darwin si erano nuovamente diretti verso la zoologia e botanica. 
Ma non c´é dubbio che la geologia ha giocato un importante ruolo nel pensiero di Darwin –  la geologia, con I suoi lenti ma inesorabili movimenti e cambiamenti, era un perfetto esempio di come anche la vita poteva – lentamente ma inesorabilmente – evolversi.
 
Bibliografia:
 
HERBERT, S. (2005): Charles Darwin, Geologist. Cornell University Press: 485
ROBERTS, M. (2001): Just before the Beagle: Charles Darwin's geological fieldwork in Wales, summer 1831. Endeavour Vol. 25(1): 33-37

29 marzo 2015

Il Segreto del Gusto perfetto: La Geologia !

La loro personalità e il loro gusto dipendono da neve, acqua, torba, aria e orzo dell´ambiente in cui vengono prodotti. Rappresentano perciò gli “spiriti” specifici del luogo del quale,a un palato sapiente, svelano le caratteristiche."
Lello Piazza, “Whisky StoryAirone 08/2005
 
Furono probabilmente monaci irlandesi intorno al 500-600 i primi a gustare un distillato di orzo come bevanda alcoolica, l´acqua della vita, o “uisge beatha” (curiosamente il nome deriva meno da una mistificazione della bevanda, ma dalla proprietà dell´alcool a conservare tessuti organici), che oggi conosciamo come whisky. Non sorprende che questo distillato abbia origini irlandesi o scozzesi, dato che l´idrologia e geologia di queste regioni ancora oggi giocano un´importante ruolo nella produzione del  whisky e/o whiskey.
 
Già il clima freddo favorisce (o rende possibile solo)  la crescita dell´orzo e del  luppolo, ingredienti di base per whisky e birra. Questo clima rigido rende spoglie di grandi alberi anche le lande dell´Irlanda e della Scozia, che pero in compenso sono ricche di torba, che veniva usata come combustibile per tostare ed essiccare l´orzo e distillare il mosto di malto. La torba, come sedimento organico, varia in composizione, consistenza ed età – e questi variazioni possono influenzare anche sulla personalità  e profumo del whisky.
 

Anche l´acqua dona al distillato una personalità unica e molte distillerie possiedono delle sorgenti private – anzi, nel medioevo bevande alcooliche erano considerato di qualità superiore che semplice acqua di ruscello. 
Il tutto inizia con l´acqua piovana che scorre nella torba e si infiltra nel sottosuolo e nelle falde acquifere.  Le acque naturali possiedono quattro cationi principali - il calcio (Ca), magnesio (Mg), sodio (Na) e potassio (K). Questi elementi giocano un´importante ruolo nel processo di produzione di prodotti alcolici.  Calcio stabilizza gli enzimi che i  lieviti usano per trasformare I zuccheri in alcool. Simile effetto il magnesio, che comunque se presente in concentrazioni troppo elevate rende la birra amara. 
La concentrazioni di questi elementi viene profondamente influenzata dalla geologia del bacino idrografico e falda della sorgenti usata.  Acque di aree grantiche sono molto pure e donano al whisky stabilità e limpidezza. 
Secondo la tradizione perció per il whisky si dovrebbe usare le acque di sorgenti in zone granitiche, ma la maggior parte delle distillerie si trovano in regioni caratterizzate dalla presenza di formazioni di arenarie e argilliti o scisti micacei. I minerali che compongono queste rocce sono comunque anch´essi praticamente insolubili. 
Per la bassa concentrazione di elementi nella acqua di sorgente il processo di distillazione deve essere pero più lungo, con il risultato di incrementare anche la gradazione alcolica.
 
Fig.1. Tra i dieci migliori whisky si trovano distillati che provengono dalla isola di Islay, l´isola di Skye, le Orcadi e la regione di Moray. Carta geologica della Scozia secondo A. Geikie, 1887 con tanto di moderne distillerie - concentrate sopratutto nelle regioni con rocce metamorfiche e ignee.
 
Falde acquifere in aree carbonatiche tendono invece ad avere molti elementi sciolti nell´acqua. Il cloro e il magnesio per esempio nelle giuste concentrazioni e proporzioni possono donare alla birra un gusto gradevole e dolce.
 

Oggigiorno nuove tecnologie, rendono possibile di modificare la chimica dell´acqua usata per il processo di fermentazione e distillazione direttamente. Forse un vantaggio per la qualità e l'igiene del prodotto finale, ma un peccato per colui che vorebbe gustare la storia geologica nascosta in un nobile distillato o una semplice birra.

Bibliografia:

CRIBB, S.J. (2005): Geology of Beer. In Selley, R.C.; Cocks, L.R.M. & Plimer, I.R.: Encyclopedia of Geology: Elsevier Academic Press: 78-81
CRIBB, S.J. (2005): Geology of Whisky. In Selley, R.C.; Cocks, L.R.M. & Plimer, I.R.: Encyclopedia of Geology: Elsevier Academic Press: 82-85

22 aprile 2014

La lezione ecologica dell´Isola di Pasqua

La storia dell´ecocidio - il collasso di un'intera civiltà a causa del degrado ambientale e delle risorse naturali - dell´isola di Rapa Nui, meglio conosciuta come Isola di Pasqua - è stato reso popolare dal film "Rapa Nui" (1994), varie documentazioni (tra cui molte pseudoscientifiche) e dal libro del biologo americano Jared Diamond "Collapse - How societies choose to fail or survive" (2005).

Secondo lo scenario proposto la civiltà di Rapa Nui avrebbe deforestato l´intera isola per la costruzione delle statue dei Moai. La terra spoglia ben presto fu erosa, i raccolti dei campi non erano sufficienti per sfamare una popolazione cresciuta a dismisura - guerra, carestia e collasso furono le conseguenze. Una società destinata all´estinzione, confinata su una minuscola isola nel bel mezzo dell´oceano, per la sua stessa avidità e stupiditá - il confronto con l´odierna crescita illimitata della specie Homo sapiens su un pianeta confinato e limitato, disperso nell'infinita dello spazio, viene naturale.


Ma ci sono diversi problemi con questo scenario. I siti paleontologici, con i resti delle piante, studiati sull´isola sono molto limitati, le carote di sedimenti recuperati sono incompleti e spesso la datazione è dubbia. Non è perciò chiaro quando l´isola ha perso completamente le sue foreste native. Secondo le analisi più recenti l´isola durante l´Olocene era caratterizzata da un clima umido e le foreste si estendevano su 70% della superficie dell´isola, almeno fino all´arrivo dei primi uomini verso il 300 all' 800 d.C. Sfortunatamente dopo l´800 il clima s'inaridisce è perciò non si sono depositati sedimenti di questo periodo nei pochi laghi perenni o paludi. Non è perciò ben chiaro se la popolazione veramente ha deforestato in un breve periodo l´intera isola - come postulata dall´ipotesi del collasso improvviso -  o se la siccità ha causato un lento, ma continuo, declino della foresta. 
Contro l´ipotesi della deforestazione veloce e catastrofale sta l´osservazione che non sono mai stati trovati significanti resti o strati carbonizzati, dato che molte civiltà antiche per sgomberare terra per uso agricolo usavano dei incendi controllati, sembra strano che lo stesso metodo non siá stato adottato anche sull´Isola di Pasqua. Inoltre i reperti archeologici che mostrerebbero cannibalismo (esiste inoltre anche il cannibalismo culturale in tempi pacifici) e ferite di combattimento sono pressoché nonesistenti.
 

Quando l´isola fu scoperta dagli europei nel 1722 fu descritta di fatto spoglia, ma con agricoltura più che sufficiente per sfamare la popolazione endemica. La foresta scomparsa era stata rimpiazzata da cespugli piantati e copertura dei campi con rocce laviche, che diminuivano l´erosione del suolo da parte del vento e proteggevano la terra dal sole incandescente. Gran parte dell´erosione e distruzione osservabile tutt'oggi sull´isola fu causata dal pascolo di grossi animali (capre, pecore, vacche e cavalli) introdotti dagli europei negli ultimi 150 anni.
 
Fig.1. Nel 1786 l´isola fu raggiunta da una spedizione scientifica francese (1785-1788) sotto il commando di Jean-François de La Pérouse. Le immagine realizzate degli artisti di bordo mostrano una civiltà stabile e le statue ancore  intatte, il che contradice l´ipotesi di guerre, anche con sfondo religioso, tra la popolazione indigena.
 
Dalla documentazione archeologica emerge un'immagine molto più complessa - un declino lento della vegetazione primordiale, causato da vari fattori, tra cui il clima e probabilmente aiutato anche dall´uomo - un cambiamento a cui gli abitanti di Rapa Nui riuscirono ad adattarsi all´inizio.
 

Rimane comunque un´importante lezione da imparare dalla storia dell´isola di Pasqua: anche se la perdita dell'ecosistema dell´isola non è da imputarsi esclusivamente all´uomo, un ambiente impoverito ha privato la società locale di molte possibilità future (su un´isola spoglia é difficile costruire navi e sviluppare la navigazione) - ogni civiltà, progredita o no, dipende dall´ambiente circostante e alla fine e nei propri interessi tutelarlo.

Bibliografia:

HUNT, T.L. (2007): Rethinking Easter Island’s ecological catastrophe. Journal of Archaeological Science 34: 485-502
HUNT, T.L. & LIPO, C.P. (2007): Chronology, deforestation, and “collapse:” Evidence vs. faith in Rapa Nui prehistory. Rapa Nui Journal 21(2): 85-97
HUNT, T.L. & LIPO, C.P. (2009): Revisiting Rapa Nui (Easter Island) “Ecocide”. Pacific Science 63(4): 601-616
HUNT, T. & LIPO, C. (2011): The Statues that Walked: Unraveling the Mystery of Easter Island. Counterpoint: 256
THOMSON, W.J. (1891): Te Pito Te Henua, or Easter Island. Report of the National Museum 1888-89, Smithsonian Institution, Washington: 552
RULL, V.; CANELLAS-BOLTA, N.; SAEZ, A.; GIRALT, S.; PLA, S. & MARGALEF, O. (2010): Paleoecology of Easter Island: Evidence and uncertainties. Earth-Science Reviews 99:50-60
MANN, D.; EDWARDS, J.; CHASE, J.; BECK, W.; REANIER, R.; MASS, M.; FINNEY, B. & LORET, J. (2008): Drought, vegetation change, and human history on Rapa Nui (Isla de Pascua, Easter Island). Quaternary Research 69:16-28
MIETH, A. & BORK, H.-R. (2010): Humans, climate or introduced rats – which is to blame for the woodland destruction on prehistoric Rapa Nui (Easter Island)? Journal of Archaeological Science 37: 417-426
MIETH, A. & BORK, H.-R. (2005): History, origin and extent of soil erosion on Easter Island (Rapa Nui). Catena 63: 244-260

15 marzo 2014

La geologia nelle montagne della follia

"Sono costretto a parlare perché gli uomini di scienza hanno deciso di ignorare i miei avvertimenti senza approfondirne le ragioni."

Oggigiorno Howard P. Lovecraft (morto il 15 marzo 1937) é considerato uno dei più influenti autori dell´orrore moderno - chi non conosce il Necronomicon*  - il libro dei morti inventato da Lovecraft  - anche se solo forse dalle molte citazioni nella cultura pop. 



 

A suo tempo Lovecraft pubblico i suoi racconti rivoluzionari solo in riviste specializzati in pulp e non riscontro mai grande successo (soprattutto finanziario). Le opere di Lovecraft sono particolari dato che si distanziano dalla tradizione dell´orrore gotico del 19° secolo - caratterizzato soprattutto da elementi sovrannaturali (come spiriti e case stregate)  - e introducono un elemento moderno e fantascientifico negli racconti dell´orrore. Inoltre per Lovecraft il vero orrore comincia appena alla fine della storia - se in passato le forze oscure erano state sconfitte alla fine della storia, nei racconti di Lovecraft il protagonista sopravvissuto deve realizzare che la sua mente ha subito dei danni irreparabili - e perfino che forse gli incubi ricorrenti di cui soffre non sono solo imputabili a una mente malata.

Lovecraft, che a causa di una salute precaria non termina la scuola e perciò non poté mai iscriversi all´università, nientedimeno aveva una grande passione per l´astronomia, paleontologia e geologia e spesso cita le più attuali scoperte scientifiche dei suoi tempi nelle sue storie.

Nel racconto Lovecraftiano "Alle montagne della follia" (pubblicato nel 1936) il geologo William Dyer rivela la verità sul triste destino di una spedizione dispersa nell´Antartide. Durante un sopraluogo geologico vengono scoperti strani fossili di grandi organismi sconosciuti in sedimenti datati al Precambriano - in un´era geologica che non dovrebbe contenere nessun segno di vita. Poco dopo i geologi scoprono una città in rovine, semisepolta nel ghiaccio, di inimmaginabili dimensioni...


Lovecraft prese spunto per la sua ambientazione nell´Antartide da varie spedizioni geologiche condotte tra il 1928 al 1930 dall´esploratore Richard Evelyn Byrd
Durante il sopraluogo, i geologi immaginari scoprono fossili di piante e animali - chiaramente l´Antartide non era sempre una desolata landa ghiacciata. Anche questa ipotese fantascientifica si basa su reali scoperte -  tra il 1902 al 1903 il geologo norvegese Otto Nordenskjöld aveva collezionato fossili di piante tropicali formulando la stessa conclusione.
 
Uno dei più curiose cameo di idee scientifiche nel racconto è la teoria della deriva dei continenti. In una costruzione della città sconosciuta, Dyer scopre una grande carta geologica scolpita nella rocca - ma che sorprendentemente mostra i continenti riuniti in un´unica grande massa di terra.

"Un'altra mappa mostra grandi quantità di terra emersa intorno al Polo Sud, dove è evidente che alcuni di quegli esseri tentarono di stabilire avamposti sperimentali: intanto, i centri principali venivano trasferiti nelle profondità marine circostanti. Mappe successive, che mostrano la spaccatura e infine la deriva della massa continentale (parti della quale si spostarono verso nord)confermano in modo sorprendente le teorie sulla deriva dei continenti formulate recentemente da Taylor, Wegener e Joly."

- questa carta e la misteriosa costruzione devono essere perciò vecchie di milioni di anni - molto precedente alla specie umana! 

Per Lovecraft i fossili e il tempo geologico sono fondamentali requisiti per generare la paura dell´ignoto - di qualcosa che viene da tempi cosi remoti che non è piú comparabile a nessuna forma di vita moderna... ed é ancora vivo...

Bibliografia:

LONG, J. (2003): Mountains of Madness - A Scientist's Odyssey in Antarctica. Jospeh Henry Press, Washington: 252

9 gennaio 2013

A.R. Wallace - Il naturalista dimenticato

"Più ci pensavo, più cresceva la mia convinzione che avevo finalmente trovato la legge naturale a lungo cercata, che risponde alla questione dell´origine delle specie."
Alfred Russel Wallace (1905)

Nel 1858 la piccola isola di Gilolo (oggi conosciuta come Halmahera), situata nell'arcipelago delle Molucche, era una delle regioni più remote sul globo terrestre. Una lettera consegnata il 9. Marzo 1858 nella stazione postale più vicina - sull'isola di Ternate, doveva prima essere spedita a Singapore. Da lì una nave mercantile della “British P & O Steamship Company”, che collega Hong Kong a Suez, la trasportava fino al continente africano. Dopo un proseguimento sulla terra fermo fino ad Alessandria d'Egitto, la lettera passava per il Mediterraneo fino a Parigi e Rotterdam, per arrivare a Londra.

Così, dopo tre mesi, la lettera è arrivata puntualmente la mattina presto all’indirizzo di Down House, nella cittadina di Bromley nel Kent, a 26 chilometri sud-est da Londra e a 12.000 chilometri nord-ovest della Nuova Guinea. Questa lettera conteneva un articolo di 20 pagine, con seguente titolo: “On the Tendency of Varieties to Depart Indefinitely from the Original Type” - che presentava i primi concetti che forse potevano spiegare la ricca biodiversità, la distribuzione geografica e la presenza di attuali e estinte specie imparentate tra di loro nell’Indonesia, basandosi su un primo abbozzo che l’autore della lettera aveva formulato già nel 1855. L'autore della lettera rivolta al gentiluomo naturalista C. Darwin era un certo Alfred Russel Wallace, un autodidatta in scienze naturali nato in una povera famiglia l´8. gennaio 1823 nella città gallese di Usk.

Fig.2. A.R. Wallace durante il suo viaggio di ritorno in Singapore nel 1862, da J. G. Wilson (2000): The forgotten Naturalist. In search of Alfred Russel Wallace.

Wallace aveva lavorato prima come geometra e poi come insegnante. Durante questi periodi sviluppo una passione per la botanica e le scienze naturali. Il desiderio di cimentarsi in queste discipline divenne cosi forte che ad un certo punto iniziò a organizzare una spedizione per il Sud America. Parti nel 1848, e solo nel 1852, dopo quattro anni dedicati alla raccolta di una varietà incredibile di specie animali e vegetali, decise di tornare in Inghilterra. La sua ricca collezione e gli appunti li avrebbero sicuramente fruttato molte pubblicazioni e il rispetto dei naturalisti inglesi. 

Ma poi la catastrofe, la nave sulla quale stava viaggiando, il mercantile “Helen”, si incendio e affondo nel Nord Atlantico. Wallace riuscì a salvare solo alcuni disegni. Quando finalmente arrivò in Inghilterra il primo ottobre 1852, egli aveva praticamente perso tutto - la sua collezione, il suo reddito (si guadagnava da vivere vendendo campioni raccolti ai musei e collezionisti) e la sua speranza di ottenere notorietà dalle prestigiose istituzioni scientifiche nella Gran Bretagna. Solo la somma pagata dall’assicurazione per la sua collezione lo salvò dalla rovina finanziaria. Ma senza i suoi campioni e appunti era in grado di pubblicare solo un riassunto sul suo viaggio, una narrazione di viaggi sul Rio delle Amazzoni e del Rio Negro - un libro poco considerato al suo tempo. In un primo momento giuro di non viaggiare più su di una nave, pero solo un anno dopo la vecchia passione era ricresciuta tanto forte che si imbarco su una nave diretta verso l’Indonesia, a quei tempi una delle regioni meno note ai naturalisti europei. Il 20. Aprile 1854 sbarco a Singapore. Rimane in Indonesia per 8 anni, viaggiando in questo tempo per oltre 22.000 chilometri.
Fig.3. Il tragitto di Wallace tra il 1854-1862 con aggiunto le linee biogeografiche secondo vari autori.

La sua raccolta dopo il ritorno in Inghilterra conterà più di 125.660 esemplari di animali, e avrà scoperto 1.500 nuove specie di insetti e uccelli. Questa seconda spedizione sarà pubblicato nel 1969 nel libro “The Malay Archipelago”, e stabilirà Wallace come fondatore
della disciplina scientifica della biogeografia. Ironia della sorte che è stata la sfortuna che gli ha dato la possibilità di una importante scoperta che influnzera il suo interesse per la biogeografia. Il 31. gennaio 1856, Wallace perde la nave che doveva portarlo verso Sulawesi. Per 4 mesi rimane ad aspettare in Singapore, fino a quando decide di fare una deviazione passando per le isole di Bali e Lombok. Su queste due isole nota qualcosa di importante: anche se le due isole sono separate solo da un tratto di mare ampio 30 chilometri, le specie di animali sulle due isole variano notevolmente.
Su un lato dominano tigri, rinoceronti e primati, sull’ altro lato invece canguri , koala e gli splendidi uccelli del paradiso. Egli descrive queste due distinte regioni di fauna nel suo saggio “On the Zoological Geography of the Malay Archipelago” (1859) e separa dal punto faunistico la regione occidentale dell’Indonesia da quella orientale. Nota che queste provincie faunistiche si distinguono molto di più l’una dall’altra nelle specie di uccelli e animali quadrupedi, che per esempio l'Inghilterra e il Giappone, che pur essendo isole separate da un´intero contnente hanno in comune almeno alcune specie eurasiatiche.
Fig.4. Le regioni faunistiche proposte per l´Indonesia da Wallace.

Anche se Wallace non può ancora conoscere la tettonica regionale dell’Indonesia, né l’amplitudine delle passate variazioni del livello del mare, deduce correttamente che i fatti osservati possono essere spiegati solo da grandi cambiamenti della superficie terrestre.
La spiegazione proposta da Wallace troverà conferma solo più tardi. 


Durante l'era glaciale grandi quantità di acqua erano intrappolate nelle calotte polari sotto forma di ghiaccio. Il livello del mare per questo durante l'espansione massima del ghiaccio era fino a 180m inferiore rispetto ad oggi. Questo abbassamento “scopriva” lo zoccolo continentale tra l’Indonesia orientale e il continente asiatico, e tra l’Indonesia occidentale e il continente australiano, creando la terra di Sunda, che collegava Borneo, Sumatra, Giava e Bali con l'Asia, e la terra di Sahul, che collegava la Nuova Guinea con l'Australia. Solo isole o zone circondate da profondo mare rimangono isolate, come per esempio le isole di Celebes, Timor e Flores. La barriera naturale formata da profondi tratti di mare viene chiamata nel 1868 dal naturalista Huxley “Linea di Wallace”, e la regione, che non viene mai raggiunta da grandi quadrupedi sia dall’Asia o dall’Australia, viene definita oggigiorno come "Wallacea".
Ma ritornando un momento indietro nella piccola cittadina di Bromley - Darwin da parte sua si mette dal 20. luglio in poi al lavoro per scrivere, come lo vede lui, un breve riassunto della sua teoria sulla selezione naturale, che viene pubblicata il 24. novembre 1859 sotto il titolo "On the origin of species by means of natural selection, or the preservation of favoured races in the struggle for life".
È curioso notare che che uno dei meccanismi principali della sua teoria, la divergenza dei caratteri tra diversi organismi, é stata inserita nei suoi scritti proprio tra maggio e giugno 1858. Darwin ha copiato in parte da Wallace? Una teoria controversa tra gli studiosi e biografi di Darwin, ma senza ragionevole dubbio Darwin aveva abbastanza dati da se per dedurre il meccanismo dell´evoluzione - solo che forse li serviva l´ultima spinta per finalmente pubblicare la teoria in formato cartaceo.
Inoltre Darwin era in una posizione privilegiata in confronto a Wallace, Darwin era un gentiluomo della classe superiore britannica, aveva amici influenti, molto probabilmente Wallace da solo non avrebbe potuto promuovere la nuova teoria contro i preconcetti della scienza e società di quei tempi.
Questo non toglie che Wallace - spesso dimenticato ai tempi nostri - insieme a Darwin deve essere considerato uno dei pionieri dell’evoluzione, un principio fondamentale per capire veramente il pianeta terra.


BIBLIOGRAFIA:

Fig.1. e Fig.4 prese da WALLACE, A.R. (1876): Distribution of animals. Vol.1. Harper & Brothers Publishers. New York

12 settembre 2012

Il "Rio delle Foglie"

La gola del Bletterbach - il "Rio delle Foglie" - comune di Aldino/Radegno -  è considerato ( o almeno dovrebbe essere …) un sito fossilifero di fama globale, dato che ha restituito l´insieme più completo di orme di rettili del Permiano superiore, con 8 icnogeneri e 9 icnospecie classificati finora (di cui - tra l´altro - si parla anche in questo post).
La storia comincia nel 1946, quando il paleontologo Piero Leonardi si mette sulle tracce della flora permiana dell´Arenaria della Val Gardena, conosciuta già dal 1877. Incuriosito da un resoconto sui fossili di piante ritrovati nel Bletterbach, si mette in contatto con l´autore dell´articolo, l'ingegnere Leo Perwanger. Insieme scoprono ulteriori fossili e alcune lastre con delle impronte di rettili. Dopo alcune stagioni di scavo, nel 1951 Leonardi pubblica i risultati, e realizza l´importanza del sito. Le ricerche nel sito del Bletterbach sono stati proseguiti dal 1973 fino ai giorni nostri. 

La risalita della gola che il rio ha scavato nel fianco della montagna del Weißhorn (2316 m) offre la possibilità di attraversare l´intera successione sedimentaria del Permiano superiore (circa 250 milioni di anni). Le impronte fossili provengono da una successione di arenarie e strati di argille, depositate in una vasta piana fluviale con un clima semidesertico. Strati di gesso sono indicatori di locali o temporali  trasgressioni marine e lo sviluppo di un ambiente di playa o sabkha

Fig.1. La profonda ferita inflitta dal´erosione al Weißhorn (2316 m).

 Fig.2. La successione stratigrafica del Permiano superiore (circa 250 milioni di anni), formazione della Arenaria della Val Gardena.

 Fig.3. Strati di gesso formati in un ambiente con forte evaporazione (simili alle odierne sabkha) e superimposti da sabbie di dune eoliche.
L'ambiente fluviale era colonizzato da vegetazione sparsa, come dimostrano orizzonti pedogenetici con riconoscibili impronte di radici di piante. Resti macroscopici di piante sono rari e perlopiù frammentari, spesso recuperabili solo come patina carboniosa localizzata in singoli strati. Ma l'aspetto superficiale può ingannare, dato che la conservazione a livello microscopica è eccellente. Nelle cuticole delle piante preservate è riconoscibile la struttura del tessuto, inoltre la successione sedimentare ha restituito una ricca associazione di pollini preservati col materiale organico originale.

 Fig.4. Orizzonti pedogenetici con strutture riconoscibili, interpretate come impronte di radici di piante.

Fig.5. Gesso e materiale organico di un presunto paleosuolo.

 Fig.6. Dettaglio di frammenti vegetali.

 Una recente pubblicazione descrive ora in più dettaglio l´associazione di piante rinvenuta durante le ultime fasi di scavo (Communicato stampa del Museo di Storia Naturale di Bolzano) - 15 specie, tra cui spicca una foglia attribuita a Ginkgoales  - che se confermata, risulta il più antico reperto finora rinvenuto di questo gruppo.

BIBLIOGRAFIA:

AVANZINI, M. & WACHTLER, M. (1999): Dolomiti La storia di una scoperta. Athesia S.a.r.l. Bolzano: 150
AVANZINI, M. & TOMASINI, R. (2004): Giornate di Paleontologia 2004 Bolzano 21-23 Maggio 2004 Guida all´escursione: la gola del Bletterbach. Studi Trentini di Scienze Naturali - Acta Geologica Supplemento al v.79 (2002):1-34
LEONARDI, G. (2008): Vertebrate ichnology in Italy. Studi Trent. Sci. Nat., Acta Geol., 83 (2008): 213-221

12 ottobre 2011

Botanica per il geologo: Ghiacciai di pietre come nicchie estreme

"Chi dice in fuoco il mondo finirà
chi dice in ghiaccio
per ciò che di disìo ebb'in assaggio
sto con color che al fuoco dan vantaggio
ma se
dovessi sceglier di perir doppiamente
penso d'odio conoscer´ abbastanza
a dir che a fin di distruzione
il ghiaccio pure è grande
e sufficiente.
"
"Fire and Ice" di Robert Frost (1874-1963)


Questo post partecipa alla V edizione del "Carnevale della Biodiversità", gestita da Andrea Cau sul suo blog "Theropoda", dove si potrà trovare molti altri esempi di nicchie estreme presenti sulla terra (e non solo).

Fig.1. Una tavola mostra le diverse fasce di vegetazioni sulle Alpi, raffigurazione preso dal "Berghaus-Atlas", un supplemento per l'enciclopedia mondiale "Kosmos" di Alexander von Humboldt, pubblicata tra il 1845 al 1862.

Il naturalista tedesco Alexander von Humboldt (1769-1859) fu il primo a pubblicare l´osservazione che le fasce di vegetazione di una montagna ricapitolano in un profilo verticale le diverse zone climatiche del globo terrestre. La fascia alpina equivale in questo caso a un deserto polare - caratterizzato da lunghi mesi con copertura nevosa, una breve estate con forti sbalzi termici tra giorno e notte, improvvise ondate di maltempo e un'intensa esposizione ai raggi ultravioletti.
Come se non bastasse quest'ambiente desolato, il clima freddo genera processi geomorfologici che rendono ulteriormente difficile la sopravivenza agli organismi.

I "ghiacciai di pietre" (rock glaciers) sono amassi di blocchi e detrito di falda con una certa percentuale di ghiaccio interstiziale. Il ghiaccio si deforme sotto il peso del detrito e l´intero deposito lentamente ma inesorabilmente si muove verso valle con una velocità di pochi metri per anno, formando una tipica morfologia lobata che termina con una fronte ripida.

Fig.2. Un "ghiacciaio di pietre" in movimento attivo.











Rock glaciers sono forme comuni del permafrost, esclusive dell´area periglaciale che nelle Alpi incomincia da un´altitudine media di 2.500m in poi e copre dal 2 al 5% dell´area complessiva di questa catena montuosa - sembra poco, ma è almeno quattro volte tanto l´area coperto dai ghiacciai normali.

Organismi, ma sopratutto piante che colonizzano un rock glacier attivo devono sopraffare vari fattori avversi:

  • Caduta di massi che provvedono un continuo flusso di detrito
  • Il movimento inesorabile, che destabilizza la superficie del ghiacciaio di pietra
  • L´instabilità della superficie rende impossibile l´accumulo di terriccio o humus. Il materiale a grana fine si deposita in profondità. Le cavità superficiali tra i blocchi e sassi non ritengono l´acqua piovana - il risultato è una superficie spoglia e arida
  • La presenza di ghiaccio nel sottosuolo modifica il flusso di energia degli strati superficiali e del terreno. Durante l´inverno le temperature possono scendono fino a -10°C per alcuni mesi, in area senza ghiaccio sotterraneo le temperature non scendono sotto una media annua (che nelle Alpi si aggira sui -5°C) per un periodo più corto
  • La superficie di un ghiacciaio di pietra resta pertanto congelata più a lungo, anche la coltra nevosa si può mantenere più facilmente, spesso anche per tutto l´estate
  • La superficie è prevalentemente detrito asciutto, solo se il ghiaccio è vicino alla superficie, la sua fusione genera ruscelli, laghetti o acqua stagnante e fredda

La mappatura della vegetazione di ghiacciai di pietre nelle Alpi ha mostrato che in principio le specie di piante rintracciabili su di essi non differiscono da quelle piante che colonizzano ghiaioni e coni detritici - le cosiddette Glareofite. I problemi sono gli stessi: una superficie molto variabile sia nello spazio (disposizione caotica di massi) che nel tempo (attività di caduta massi e movimento del terreno).

Fig.3. Suddivisione morfologica delle Glareofite che vivono nei detriti in base alle forme di crescita. Esistono diverse strategie per sopravvivere al movimento del detrito e del terreno: radici resistenti o elastiche, stoloni superficiali per aggirare il problema e cuscinetti per accumulare una fascia di detrito che funga da frangiflutti contro la marea di rocce (da COSENTINO et al. 2006).

Quello che differisce è la distribuzione delle diverse specie di piante. Su un rock glacier composta di detrito di rocce metamorfiche (scisti e gneiss) delle Alpi centrali sono state riscontrate seguenti fasce di vegetazione:

  • La fronte ripida del ghiacciaio di pietre, zona in cui il materiale di grana fine è esposto per via del movimento, è colonizzato da specie di Cerastio (Cerastium), Sassifraga (Saxifraga) e Oxyria, tipici glareofite di terreni silicatici e umidi.
  • L´area anteriore della lingua del ghiacciaio, con movimenti meno pronunciati, è colonizzata da glareofite striscianti come Ambretta strisciante (Geum reptans) e Senecio (Senecio doronicum). Piante che dimostrano una stabilità superficiale sono arbusti come Rhododendro (Rhododendron) e Salice (Salix), inoltre ciuffi di erba Lucciola (Luzula).
  • L´area posteriore o base della lingua del ghiacciaio è una zona sottoposta a intensi movimenti e caduta di massi. Quest'ambiente instabile è quasi spoglio, solo licheni come Rhizocarpon, Brodoa e Umbilicaria colonizzano grandi blocchi, che tendono a muoversi e rotolare di meno.
Fig.4. Specie di piante e organismi ritrovati su un rock glacier attivo composta da detrito di schisto/gneiss: A) Huperzia, Oxyria, Cerastium e Saxifraga sulla fronte ripida; B) Luzula alpino-pilosa e Rhododendron ferrugineum sull´area anteriore; C) Brodoa intestiniformis, specie di lichene sull´area posteriore.

Le dimensioni dei licheni mappati su un rock glacier possono non solo indicare l´attività della superficie, ma anche l´età e la dinamica grazie alla lichenometria.
Fig.5. La lichenometria del rock Glacier di Murtél-Corvatsch (Engadina) ha mostrato diverse fasce di dimensioni dei licheni misurati (da 0,5 a 4cm)- con dimensioni maggiore verso la fronte che é meno attiva e più antica (secondo BURGA et al. 2004).

La mappatura delle specie di piante in combinazione con la licheometria ha mostrato che la distribuzione di specie di piante e la densità della vegetazione su un ghiacciaio di pietre attivo sono controllate dalla caduta di massi, il movimento del detrito e la velocità della rispettiva zona. All´attento geologo la vegetazione può dare cosi degli primi indizi per capire meglio la dinamica di questa particolare e ancora poco compresa forma geomorfologica.

Bibliografia:

BURGA, C. A.; FRAUENFELDER, R.; RUFFET, J.; HOELZLE, M. & KÄÄB, A. (2004): Vegetation on Alpine rock glacier surfaces: a contribution to abundance and dynamics on extreme plant habitats. Flora 199: 505-515
CANNONE, N. & GERDOL, R. (2003): Vegetation as an Ecological Indicator of Surface Instability in Rock Glaciers. Arctic, Antarctic, and Alpine Research, Vol. 35(3): 384-390
COSENTINO (ed.) (2006): Ghiaioni e rupi di montagna - Una vita da pionieri tra le rocce. Quaderni Habitat. Ministro dell´ambiente e della tutela del territorio/ museo friulano di storia naturale, Udine: 158

4 ottobre 2011

Botanica per il geologo: lichenometria

Forse uno dei primi naturalisti ad adottare un approccio botanico per un problema di datazione geologica fu Lord William Hamilton (1730-1803), ambasciatore inglese a Napoli. Hamilton aveva notato importanti differenze nell´aspetto di varie colate laviche del Vesuvio - le colate recenti (alla cui formazione Hamilton aveva assistito di persona) erano composte di frammenti e blocchi di roccia nera senza alcun segno di vita. Colate storiche erano coperte da macchie di licheni e rari cuscini di erba e arbusti, infine esistevano colate ricoperte da una vegetazione densa e fitta. Hamilton dedusse che queste ultime dovevano essere depositi vulcanici di antica formazione, forse anteriore alla storia umana stessa.

Un simile approccio è ancora usato oggigiorno con particolari organismi che riescono a sopravvivere e crescere anche negli ambienti più difficili e  desolati - i licheni. L'idea di utilizzare la crescita dei licheni per una datazione relativa di una superficie fu proposta nel 1930 dal botanico Knut Faegri. Nel 1950 il botanico austriaco Roland Besch può presentare i primi risultati pratici: osservando dei licheni su delle lapide in un cimitero formula una correlazione tra la grandezza di un individuo e l´età della superficie (data dal giorno della morte del proprietario), poi misura le dimensioni delle stesse specie di licheni su massi depositati in fronte a un ghiacciaio. Beschel cosi facendo riesce a datare per la prima volta diverse estensioni dei ghiacciai alpini in tempi storici e preistorici. Nonostante questi primi promettenti risultati della lichenometria i geologi adopreranno questa tecnica negli ambienti artici o alpini appena un decennio dopo.

Nelle nostri latitudini la lichenometria si è rivelata utile per datare vari processi geomorfologici  - come depositi glaciali, colate di detrito, depositi e nicchie di frana e caduta di massi - in ambienti estremi di alta montagna fino ad una altezza di 7.000 metri.
Il segreto dei licheni per colonizzare questi ambienti e la loro struttura, risultato della simbiosi tra due gruppi di organismi molto diversi tra di loro. Diversi gruppi di alghe microscopiche, che grazie alla fotosintesi producono sostanze nutritive, vengono inglobate da un fungo che fornisce protezione e umidità al suo partner in cambio di una parte dei nutrimenti. E il fungo a determinare la morfologia esterna del lichene, forma che rimane constante, anche se il fungo può adottare come partner vari gruppi di alghe. Per questo è possibile trattare questa comunità simbiotica come singola specie - e oggigiorno si contano più di 17.000 specie di licheni.
Esistono tre morfologie di talli distinte nei licheni - talli fogliosi, talli fruticosi e talli crostosi. 

Fig.1. Brodoa intestiniformis é una specie di lichene con tallo crostoso che colonizza una superficie su una roccia composta praticamente solo da quarzo - minerale resistente all´erosione e di dubbio valore nutrizionale - ma sufficiente per questa comunità simbiotica.

L´ultimo gruppo è il più comune e numeroso e quello più utilizzato nella lichenometria. Licheni crostosi possono colonizzare in pratica ogni superficie dura, anche se diverse specie mostrano preferenze specifiche, per esempio tra diversi tipi di roccia.
La colonizzazione di una superficie e la crescita di un lichene procedono in quattro passi:

1)    Una superficie viene esposta, a seconda delle condizioni ambientali i primi individui di licheni la colonizzano in un arco di tempo compreso tra i 5 ai 100 anni.
2)    I talli mostrano un incremento nel tasso di crescita pressoché esponenziale.
3)    Il tasso di crescitá diminuisce, inizia una fase di lenta ma constante crescita.
4)    Il tasso di crescitá diminuisce notevolmente fino alla morte dell´organismo.

Il tasso di crescita è un valore specifico che dipende dalla specie studiata e le condizioni ambientali, inoltre non tutte le specie di licheni sviluppano una fase di crescita costante; queste specie non possono essere utilizzati nella lichenometria. I fattori che influenzano maggiormente la crescita sono temperatura, umidità, disponibilità di sostanze nutrienti, lunghezza delle giornate e copertura nevosa.
L´efficienza delle alghe simbiotiche è relativamente bassa: meno del 25% se si comparano stesse aree esposte alla luce solare  tra licheni e piante vascolari. Ne risulta una crescita molto lenta (anche nella fase più attiva), in compenso licheni possono raggiungere un età biblica. Individui di alcune specie di licheni (come Rhizocarpon geographicum) sono stati stimati vecchi tra i 5.000 ai 9.000 anni, in teoria il limite superiore del metodo lichenometrico. Tuttavia per motivi pratici, per esempio diversi individui tendono a crescere insieme rendendo difficile misurazioni esatte, la lichenometria viene applicata solo in un intervallo di tempo che comprende gli ultimi 500 anni.

Bibliografia:

McCARTHY, D.P. (2006): Lichenometry. 1399 - 1404 In (ed): ELIAS, S.A. (2006): Encyclopedia of quaternary science. Elsevier.
WALKER, M. (2005): Quaternary dating methods. Wiley Press: 304